Opera Magazine
10/02/2022
La Facciata neogotica del Duomo di Firenze.
Breve storia dell’ultima grande impresa artistica per Santa Maria del Fiore
Alla fine del Cinquecento il Granduca Francesco I dei Medici aveva deciso di smantellare la decorazione della facciata della Cattedrale, che Arnolfo di Cambio aveva cominciato alla fine del Duecento e che era proseguita fino al Quattrocento, ma rimanendo incompiuta. L’intenzione del sovrano era quella di dotare il maggior tempio fiorentino di una nuova facciata stilisticamente aggiornata al gusto moderno, ma alla distruzione dell’antico non seguì la creazione di un nuovo fronte. Il dibattito intorno a quest’opera così importante si protrasse fino alla fine del Seicento, quando il granduca Cosimo III, in occasione delle nozze del figlio, decise infine di restituire decoro a questo monumento e allo spazio antistante facendo realizzare un grande dipinto murale raffigurante un finto fronte architettonico. Questa decorazione sopravvisse per un secolo e mezzo e la si intuisce ancora, benché scialbata e degradatissima, nelle prime fotografie di inizio Ottocento.
Dopo quasi duecento anni dall’ultimo tentativo di completamento, all’inizio degli anni Venti dell’Ottocento, quando Firenze era ora governata dalla dinastia dei Lorena, la questione della decorazione della facciata del Duomo tornò a suscitare interesse sotto la spinta di Giovanni degli Alessandri, presidente dell’Accademia di Belle Arti e Direttore degli Uffizi. L’architetto Giovanni Battista Silvestri fu il primo a presentare un progetto per una facciata in stile neogotico, che però rimase solo sulla carta. Fu disattesa anche la proposta formulata nel 1831 dell’architetto Gaetano Baccani, responsabile dell’ammodernamento della fabbrica in chiave purista.
Un decisivo passo in avanti fu compiuto nel 1842 quando fu creata l’Associazione per la Facciata del Duomo, che si preoccupò anche del reperimento dei finanziamenti necessari alla realizzazione dell’impresa.
A stimolare il dibattito intorno all’iniziativa contribuì la realizzazione della facciata in stile neogotico della Basilica di Santa Croce, su disegno di Matas. Lo stesso Matas produsse una propria proposta di soluzione architettonica per la Cattedrale, la quale ebbe come effetto il propagarsi della questione al di là dei confini regionali: è in questi anni che giunsero a Firenze le sei ipotesi di facciata dell’architetto svizzero Johann Georg Müller, in stile neogotico, ispirate sia alle cattedrali d’oltralpe che al Duomo di Orvieto.
Questi sei e gli altri disegni proposti in questa prima fase si differenziavano tra loro in molti elementi, ma furono tutti accomunati dalla medesima ispirazione all’architettura medievale. Questi caratteri stilistici volevano evocare il tempo della fondazione della Cattedrale, ovvero il tempo di Arnolfo, quando Firenze era nel pieno splendore dell'età comunale.
Il dibattito subì però un’interruzione a causa delle turbolenze dei moti risorgimentali e non riprese fino al 1859, quando l’Associazione rinacque con il nome di “Deputazione promotrice” e l’anno successivo il nuovo re, Vittorio Emanuele II di Savoia, pose la prima pietra con una cerimonia, che fu però assolutamente simbolica: la facciata era ancora lungi dal concretizzarsi. Nel 1861, con la nascita del Regno d’Italia fu indetto un nuovo concorso, al quale parteciparono moltissimi architetti sia italiani che stranieri, i quali proposero soluzioni ispirate a diverse architetture medievali e non. Questo nuovo gruppo di progetti fu esaminato da un’apposita commissione di esperti, ma anche stavolta non si giunse ad eleggere un vincitore.
Nel 1864 si indisse allora un nuovo concorso, per il quale furono esaminati più di quaranta progetti, che vedevano soluzioni architettoniche ispirate talune alle facciate gotiche delle cattedrali francesi, altre alle basiliche italiane e altre ancora di gusto assolutamente eclettico. Tra i quindici progetti che si distinsero per merito vinse quello dell’architetto fiorentino Emilio De Fabris, che immaginò una facciata neogotica, ispirata a quelle delle Cattedrali di Siena e del Duomo di Orvieto, cioè coronata da tre cuspidi. Intorno a questa soluzione sorse però un’accesa discussione. Lo stile del coronamento era infatti un dettaglio dietro al quale si celavano ragioni di carattere politico-ideologico fortemente sentite in quegli anni: il tipo cuspidato, infatti, veniva sentito nell’Italia risorgimentale come meno “italico” rispetto a quello basilicale, cioè piatto, con ballatoio. La commissione giudicante si rivolse per un parere al più importante architetto neogotico del tempo, il francese Viollet-Le-Duc, ma la sua autorevole opinione non bastò a sedare le polemiche.
Ci si decise allora per un ennesimo concorso, al quale furono invitati dieci partecipanti della precedente prova e furono ammessi ventinove nuovi concorrenti. I quarantacinque disegni che giunsero alla supervisione della commissione erano ora tutti ispirati all’architettura medievale, ma divisi in due categorie: con coronamento cuspidato o basilicale. Di nuovo vinse il De Fabris, che nel 1870 fu finalmente insignito del ruolo di architetto responsabile per la costruzione della nuova facciata. Ciononostante, le polemiche intorno alla questione del coronamento non si placarono e De Fabris dovette via via elaborare nuove variazioni al progetto, dove formulò soluzioni per entrambe le tipologie. Per porre termine definitivamente fine alla questione si dovette alla fine, addirittura, metterle in opera entrambe - con cuspide, sul lato destro e con ballatoio su quello sinistro della facciata - e bandire un referendum cittadino, attraverso il quale stabilì una volta per tutte la preferenza per la seconda opzione.
Ma la facciata non era solo questione architettonica e per l’elaborazione di un degno programma iconografico della sua decorazione scultorea e musiva il tenace De Fabris si rivolse al filosofo Augusto Conti: questi congegnò una grandiosa celebrazione di Maria e del Salvatore che era, insieme, anche una glorificazione della storia di Firenze, attraverso un complesso disegno teologico che mostrava l’intreccio tra fede cristiana e manifestazione del genio fiorentino. Furono decine gli artisti coinvolti, tutti di altissimo profilo e più di settanta le figure scolpite o mosaicate. La tradizione romanica e gotica della decorazione con l’uso dei marmi rosso, bianco e verde acquistò nella facciata una valenza di celebrazione patriottica, facendo riferimento non più alle virtù teologali cristiane, ma ai colori della bandiera italiana. I nomi e gli stemmi delle importanti famiglie fiorentine e non solo che parteciparono al finanziamento dell’impresa furono riportati nelle cornici inferiori, così da rimanere visibili ai posteri.
La costruzione fu finalmente avviata nel 1876 ma il povero De Fabris, morto nel 1883, non poté vederne la conclusione. Spettò al suo erede, Luigi Del Moro, subentrato al maestro nella direzione del cantiere, di portare a compimento l’opera, e la facciata fu inaugurata ufficialmente il 12 maggio 1887, esattamente 3 secoli dopo lo smantellamento della facciata medievale di Arnolfo.
Nei sedici anni successivi furono create anche le tre grandi porte di bronzo, che andarono a sostituire le precedenti di legno e nel 1903 la facciata era compiuta.
Di questo viaggio difficoltoso lungo un secolo gli Archivi dell’Opera del Duomo di Firenze conservano la straordinaria collezione dei disegni architettonici inviati alle diverse commissioni nel corso dei decenni, e una parte di essi è esposta nella sezione del Museo dedicata appunto a quest’impresa Ottocentesca. Nella navata sinistra della Cattedrale si può ammirare il monumento funebre di Emilio de Fabris, posto a completare la serie rinascimentale dei monumenti sepolcrali ai grandi architetti di Santa Maria del Fiore, proprio di fronte a quelli di Giotto e Brunelleschi.