Opera Magazine
01/05/2024
Il cantiere della Cupola di Brunelleschi: uomini e macchine
Nel progettare la costruzione della cupola il genio di Brunelleschi superò la cultura del suo tempo e quella antica dando vita al primo cantiere moderno: non solo disegnò l’architettura, ma progettò gli strumenti necessari a realizzarla e pose attenzione a progettare ogni singolo aspetto del cantiere di lavoro.
Le macchine
Filippo congegnò le straordinarie macchine per il trasporto e la messa in opera dei materiali, che furono studiate poi da importanti maestri del Rinascimento, suoi ideali successori, quali Francesco di Giorgio Martini, Giuliano da Sangallo, Verrocchio o Leonardo da Vinci. Inventò grandi gru in grado di ruotare, carrelli orizzontali e verticali, leve e argani a più velocità, mossi dalla semplice forza animale e dal sapiente uso di ingranaggi, pesi e contrappesi.
Tra gli attrezzi di cantiere impiegati, l’Opera del Duomo conserva ancora tenditori, forbici o tenaglie metalliche, taglie per lo scorrimento di corde e le famose “ulivelle”: strumenti di cui s’era perso memoria nel medioevo e che gli antichi romani usavano per il sollevamento dei blocchi di pietra più pesanti. I biografi raccontano che Brunelleschi fece una vera e propria scoperta archeologica durante il suo soggiorno di studio a Roma: tra le antiche rovine ritrovò un’ulivella ancora infissa in un blocco di pietra.
La vita degli operai
Queste macchine e i materiali che esse trasportavano, dovevano poi essere manovrate e messe in opera da uomini preparati. Erano soltanto una sessantina i maestri impegnati nella costruzione della Cupola sotto la guida di Brunelleschi. L’architetto sapeva bene quanto fosse pericoloso lavorare a quelle quote vertiginose e fece sì che nei sedici anni della costruzione (1420- 1436) gli uomini che lavoravano con lui fossero in sicurezza. Si ha notizia di otto feriti gravi e di una morte bianca (qualcosa di eccezionale per l’epoca di cui stiamo parlando). Nel 1422 tale Nencio di Chello morì cadendo dalle mura del tamburo, mentre altri suoi compagni riportarono lesioni o per cadute di materiali o nel movimentare le macchine da costruzione.
Brunelleschi e l’Opera avevano infatti preso provvedimenti modernissimi: le grandi impalcature sospese avevano un parapetto che impediva cadute e difendeva la vista dalla vertigine per i grandi vuoti. E poiché era pericolosa la salita e discesa dalle impalcature furono pensati degli appositi spazi in quota dove cibo e bevande venivano portati e consumati (da cui la leggenda vasariana di taverne installate nei ponteggi stessi). Sappiamo anche che l’Opera pagasse agli operai infortunati i giorni di malattia, gli indennizzi, le cure (un operaio rimasto ferito sul cantiere fu mandato a curarsi ai bagni termali) e – nel caso del “povero Nencino” - anche quelle per il funerale. Infine, non tutti gli operai erano obbligati a lavorare in alto, e chi lo sceglieva riceveva una paga aumentata in proporzione al pericolo cui si esponeva.
La storia ci insegna allora come il genio del Brunelleschi e l’audacia dei responsabili dell’Opera, non fu solo ingegneristica e che i mattoni della cupola sono cementati con i valori dell’umanesimo cristiano.