Opera Magazine
22/07/2019
Andrea Pisano e la cacciata del Duca di Atene
Storia di un despota, di una cacciata ingloriosa e di un grande architetto e dei suoi lavori che caratterizzarono il centro storico di Firenze.
Accanto a san Giovanni Battista, a san Zanobi e a santa Reparata, a Firenze esiste una devozione particolare per sant’Anna, madre di Maria, che ha ragioni legate a un avvenimento storico: il 26 luglio 1343, infatti, giorno dedicato alla festa di questa santa, depose il potere e fuggì dalla città il tiranno noto come 'duca d’Atene', ovvero Gualtieri IV di Brienne. La storia racconta che sia fuggito per quel passaggio che ha l’uscio di fianco al Palazzo dei Signori, sull’attuale via della Ninna, via di fuga che si dice fosse stata concepita da uno dei maggiori architetti e scultori allora attivi: Andrea d'Ugolino da Pontedera, detto “Andrea Pisano”. Questi, che all’ascesa al potere del Duca era capomastro dell’Opera del Duomo, impegnato nei lavori alla facciata della Cattedrale, al Campanile e alla prima porta bronzea del Battistero, vide il proprio nome legarsi alle vicende dello sventurato dominio, seppur di un solo anno, del nobile d’oltralpe.
A dire quanto nefasta si sia conservata la memoria di questo importante personaggio basta ricordare come l’appellativo di 'duca di Atene' sia stato tramandato in senso ironico e dispregiativo: la famiglia dei Brienne, originaria della Champagne-Ardenne, reclamava questo titolo, ma l’antica capitale greca era stata di fatto conquistata dalla compagnia dei catalani e poi – nonostante i tentativi dei Brienne di riprenderla - sarebbe passata agli Aragonesi. Come vedremo, anche il suo tentativo di imporre il proprio potere su Firenze fallì. Tutto aveva avuto inizio quando, nel 1342, i fiorentini si erano decisi di convocarlo per affidargli la gestione dello stato in un momento di estrema difficoltà sia economica, a causa della mancata restituzione da parte del Re d’Inghilterra dei prestiti ai banchi dei Peruzzi e dei Bari, che di politica sia “estera” che “interna”: la popolazione era in subbuglio per la rovinosa (anche finanziariamente) mancata impresa della conquista di Lucca, capitolata nelle mani dei pisani e per l’inesausta lotta civile tra le fazioni guelfe e ghibelline, che a sua volta si alimentava delle forti tensioni civiche tra le diverse classi sociali.
Sant'Anna e la cacciata del Duca di Atene; Orcagna.
Si scelse quindi di affidare il timone della città a un Podestà forestiero, che fosse un capace amministratore e, al tempo stesso, super partes rispetto agli interessi locali e particolari dei diversi partiti e ceti. Quella che si andava formando non doveva però essere una signoria assoluta, ma un incarico pro tempore di un anno, dotato di grandi poteri, ma nel mantenimento delle più importanti istituzioni e cariche cittadine. Le speranze dei fiorentini, fondate su una simile esperienza (positiva) fatta già un ventennio prima con Carlo d’Angiò, furono però questa volta disattese: il conte di Brienne si presentò in città armato e ottenne che il titolo conferitogli fosse ad vitam. Subito si organizzò quindi per consolidare il proprio potere, e il suo divenne ben presto un governo dispotico, al quale il popolo fiorentino riuscì però presto ad opporsi, rovesciandolo con una sommossa popolare che portò alla fuga del duca dopo appena un anno dalla sua chiamata.
Nel tempo del suo breve dominio il duca aveva fatto realizzare alcune opere architettonico-urbanistiche di carattere strategico: aveva fatto apporre una ferratura alle finestre del piano terreno del Palazzo dei Signori, aveva costruito nuove torri lungo la cinta muraria, aveva edificato porta San Frediano, costruito gli antiporti alle porte maggiori e ne aveva aperte di nuove più piccole, aveva progettato una fortezza a San Giorgio, proposto la distruzione della chiesa di Santa Cecilia ed ampliato piazza della Signoria.
Il suo architetto di fiducia, secondo Vasari, fu Andrea Pisano, allievo di Giotto e suo successore nel cantiere del Duomo: si era guadagnato lode e fama per la realizzazione nel 1330-36 della prima porta bronzea del Battistero, ornata con le storie del Battista (le cui formelle furono forse disegnate dallo stesso Giotto e che oggi è oggetto di un importante restauro), nonché, in qualità di capomastro del Campanile, per esser stato esecutore, assieme ad alcuni collaboratori, tra il 1334 e il 1443, delle splendide formelle marmoree che ne ornavano il secondo registro, raffiguranti le arti umane e le forze “celesti” che le governano (un capolavoro della scultura e della cultura enciclopedica medievale), così come, col figlio Nino, per la realizzazione tra il 1337 e il 1341, di una parte dei profeti per le nicchie del terzo registro dello stesso monumento (tutte opere sostituite nel Novecento in loco da copie e calchi per ragioni di conservazione e ora ammirabili negli originali nella Galleria del Campanile del Museo dell’Opera del Duomo).
Si aggiunga che Andrea si occupò anche del restauro delle sculture della facciata arnolfiana della Cattedrale, nonché dell’esecuzione di due sculture marmoree per il Battistero – una Santa Reparata e un Cristo benedicente – anch’esse oggi esposte nel Museo dell’Opera. Queste sue straordinarie opere d’arte plastica e architettonica per l’Opera del Duomo e per il tempio di San Giovanni, per essere state difficili e costosissime, e per esser state volute e portate a termine in questi anni di crisi e instabilità, rendono un’idea dell’impressionante ricchezza della Firenze del tempo e della fiducia dei fiorentini nelle proprie risorse.
Tale fu la gloria conquistata da Andrea prima e durante la tirannia del duca d’Atene che, ci dicono le fonti, abbia meritato di essere insignito della cittadinanza onoraria e quindi di una sepoltura monumentale in Cattedrale (oggi scomparsa, dicono le fonti che si trovasse dietro un pulpito in fondo alla navata destra). Ma qualcosa, su quest’ultimo punto, non torna: Andrea infatti non risulta essere più attivo a Firenze proprio a seguito della cacciata del Duca, e lo si ritrova invece a Pisa e, successivamente, intorno al 1347, a lavoro come capomastro dell’Opera del Duomo di Orvieto.
Cosa portò all’allontanamento da Firenze di un così importante artista, all’apice della propria carriera, proprio in coincidenza con la caduta di Brienne? Alcuni hanno sospettato che la cacciata del tiranno avrebbe costretto all’esilio anche il suo architetto di fiducia, ma questo contrasterebbe con la notizia, assai più certa, della sua sepoltura in Santa Maria del Fiore: forse era rientrato a Firenze alla fine della sua vita? O forse le sue spoglie furono riportate da altrove nella patria adottiva per volontà dei rappresentanti del governo cittadino?
Fatto è che se Andrea ricevette il massimo riconoscimento civile ciò sarebbe accaduto dopo pochi anni dal suo presunto esilio forzato. La verità è che allo stato attuale degli studi non sappiamo le ragioni della scelta di Andrea di lasciare la città dove aveva trovato fama, gloria e onore, principalmente perché esiste ancora un vuoto nella ricostruzione storico artistica della sua opera negli anni che questi trascorse tra l’abbandono dei cantieri fiorentini e il suo approdo a Pisa e all’Opera di Orvieto. È però possibile credere che esista un fondo di verità e che l’artista, forse spaventato dal mutevole e violento clima politico, abbia deciso intorno al 1343 di “cambiare aria”.
Il silenzio delle fonti e la lacuna temporale nel catalogo delle sue opere riguarda d’altronde anche la formazione del Pisano, che come una meteora splendente fa capolino nella Storia dell’Arte a fianco di Giotto con l’impresa, all’epoca titanica, della Porta Sud, la quale certamente non poté esser stata affidata a un artista ancora poco noto e agli inizi della propria carriera. È interessante notare come gli studiosi abbiano riconosciuto nella sua plastica, oltre all’impronta della maniera di Giotto, anche di una certa conoscenza della scultura francese del XIII secolo (in particolare dei rilievi con Storie della Vergine, all'esterno dell'abside di Notre-Dame a Parigi, e soprattutto quello con i Funerali della Vergine). Non si suppone un suo viaggio oltralpe, giacché poteva aver avuto conoscenza dell’arte francese anche tramite esempi di oreficeria e di intagli in avorio, ma è probabile che il tiranno francofono potesse aver trovato un’affinità di gusto con le opere di quest’artista italiano.
La targa in via dei Calzaiuoli.
Quel che è certo è che se Gualtieri di Brienne fu oggetto da subito di damnatio memoriae (la sua impresa con il leone rampante a coda bifida fu rimossa dal Palazzo della Signoria e da ogni altro luogo della città, eccetto che per una targa marmorea tutt’oggi visibile in via Calzaiuoli), all’opposto fu la sorte di Andrea, sulla cui sepoltura un secolo dopo la sua morte, fu posto questo epitaffio di lode che lo celebrava alla stregua di un nuovo Fidia:
"Ingenti Andreas iacet hac Pisanus in urna; Marmore qui potuit spirantes ducere vultus; Et simulacra Deûm mediis imponere templis; Ex aere, ex auro candenti, et pulchro elephanto.”