Opera Magazine
26/02/2018
La Cupola del Brunelleschi e i suoi antenati
Sono vari i modelli che potrebbero aver influito su Brunelleschi nell'ideazione del suo capolavoro massimo. Continuiamo con un po' di storia, alla ricerca degli antenati della Cupola del Duomo di Firenze.
Riprendendo il discorso aperto con lo scorso post sulla cupola, non è semplice riuscire a investigare l’evoluzione di questo elemento architettonico, la cui forma è antica e universale, presente in molte civiltà ed epoche diverse. La “cupola” è – per definizione - la proiezione nello spazio tridimensionale di un arco; è una struttura costruita idealmente sulle figure del cerchio e della sfera, e sulle loro declinazioni. Sono figure che ispirarono e furono associate dall’uomo all’idea di un Dio concepito come eterno, immutabile, infinito e perfetto, creatore e centro di un universo ordinato col compasso. D’altronde quella che era creduta la sede stessa degli dei, la volta celeste, è una calotta emisferica e una sfera è l’astro maggiore che la illumina: il sole, che è forse il più antico simbolo del divino conosciuto.
Tra i possibili e più antichi modelli per la Cupola di S. Maria del Fiore ci può essere quella sala per banchetti del Palazzo dell’Imperatore Nerone, detta “ottagona” (64-68 d.c.), che lo storico romano Svetonio descrive come meraviglia assoluta dell’architettura antica (in un passo delle Vite dei Cesari che poteva essere noto a Brunelleschi). La pianta era ottagonale, sulle pareti, scandite da nicchie e portali, s’impostava la grande cupola costituita da un unico blocco cementizio diviso in due parti: l’inferiore a spicchi ottagonali, la superiore emisferica e conclusa da un grande oculo.
Racconta Svetonio che questa copertura fosse decorata con una riproduzione della volta celeste con i suoi astri, che, spinta da animali e schiavi su cardini nascosti, era in grado di ruotare, idealmente, attorno al sommo cesare e alla sua corte, che sotto quel firmamento banchettavano. Siamo in un palazzo privato, ma in uno spazio sacralizzato: gli imperatori erano divinizzati presso l’antica Roma, e Nerone ponendosi con il proprio triclinio sotto questa volta voleva mostrare sé come Apollo: perno e centro dell’Impero e del Cosmo.
Quarant’anni dopo la sua realizzazione, questo straordinario ambiente venne demolito insieme al resto dell’edificio a opera del famoso architetto Apollodoro di Damasco: di origine siriana, cultura greca e poi a Roma al servizio degli imperatori, studiò i segreti ingegneristici di quella sala “ottagona, rotante” per applicarli più tardi su vasta scala nel capolavoro commissionatogli dall’imperatore Adriano: il Pantheon, il tempio di tutte le divinità dell’Olimpo.
Il Pantheon di Roma in un dipinto di G.P. Pannini.
L’edificio è costituito da tre parti: un pronao, un avancorpo intermedio e una grande rotonda sormontata da una cupola, a sua volta modellata su un’unica colata in calcestruzzo perfettamente emisferica (diametro e altezza corrispondono: 43 metri) e chiusa da un oculo.
Quest’ultimo elemento metteva in relazione lo spazio architettonico con il firmamento che vi si affacciava e ciò rende esplicito il significato della perfetta sfera che disegna la volta: una rappresentazione dell’universo, come cosmo, come ordine e armonia, sede celeste degli dei cui era dedicato il tempio e le cui statue si ergevano lungo pareti della rotonda. Padre superiore di tutte queste divinità per la religione pagana era Giove, dio del cielo; il suo “occhio” lo si può forse vedere evocato nell’oculo della volta, dal quale il dio lasciava cadere la pioggia e dal quale penetrava all’interno come fascio di luce, che ruota col mutare delle ore e delle stagioni.
Ma l’architettura romana propose anche altri esempi di cupole: a distanza di due secoli dal Pantheon, tra III e IV secolo, a Spalato l’imperatore Diocleziano realizzò il suo maestoso palazzo fortificato. Al suo interno sopravvive tuttora, trasformato in tempio cristiano, il suo mausoleo: si tratta di un edificio a pianta centrale ottagonale, costituito da un peristilio e da una cella centrale e concluso da una doppia cupola, emisferica all’interno e piramidale all’esterno (una somiglianza importante con il Battistero e S. Maria del Fiore). I mausolei costituiscono una tipologia architettonica importante per la storia di edifici a pianta centrale con copertura a cupola.
Sezione del mausoleo di Diocleziano a Spalato.
Un esempio tardo antico è il mausoleo destinato alla sepoltura del re degli Ostrogoti, Teodorico, a Ravenna (520 d.C.). Le otto facce del perimetro esterno si risolvono nel secondo registro in un cilindro, sormontato da una cupola; questa è unica nel suo genere: è costituita da un unico blocco, come il Pantheon, ma non in materiale cementizio, bensì scolpito nella pietra, che deve essere stata lavorata altrove e poi sollevata e posta in opera. Questa soluzione, però, non poteva essere adatta alla costruzione di cupole di grandi dimensioni.
Secondo alcuni studiosi la tipologia di questi mausolei imperiali si evolvette poi, a partire dal IV secolo, nei cosiddetti “martyria”: edifici di culto fondati sulla tomba, non più di un regnante o di un nobile, ma di un martire; un esempio famoso e che descrive questa transizione è il Mausoleo della figlia dell’imperatore Costantino, santa Costanza (340 d.C.): circolare e sormontato da una cupola, sorge a sua volta su un fianco della basilica di Sant’Agnese, a Roma, dov'è conservata la sepoltura della martire.
Il mausoleo di Santa Costanza a Roma.
Accanto a questi esempi tardo antichi, il più significativo edificio cristiano a pianta centrale dotato di un’importante cupola è la cosiddetta “Rotonda” dell’Anastasis di Gerusalemme, la chiesa eretta sul luogo della sepoltura di Cristo. Il complesso, in origine composto di tre edifici – la basilica, l’atrio chiuso e la “Rotonda” – fu fondato da Costantino nel 335, e poi nei secoli successivi conobbe diverse distruzioni e rifacimenti; ma il Sancta Sanctorum, la “Rotonda” contenente l’edicola/sacrario del Santo Sepolcro, non mutò sostanzialmente di aspetto a partire dalla fine del IV secolo: a pianta circolare, ritmata da tre cappelle radiali, e in alzato è costituita da un peristilio, sostenente un matroneo e una cupola. Quest’ultima è a vele e conclusa da un oculo sormontato da una lanterna.
Le affinità di quest’edificio con il duomo fiorentino sono mediate da un millennio di storia dell’architettura, ma Brunelleschi, nel XV secolo, potrebbe aver avuto notizie di quest’edificio; esso, infatti, fu per secoli meta dei pellegrini di tutto il mondo e descrizioni di questo tempio circolavano in tutto l’Occidente. Per l’enorme valore e significato spirituale che rivestiva per la cristianità, la forma di questo tempio venne ripresa, “citata”, fin da epoca paleocristiana da molti edifici a pianta centrale; su tutti basterebbe citare la Basilica del Sepolcro in Santo Stefano a Bologna (IV secolo) e quella omonima di Roma (V secolo).
I mausolei tardo antichi, l’Anastasis di Gerusalemme e i martyria bizantini, furono a loro volta gli antenati e i modelli dei primi battisteri: a pianta centrale, ottagonale e con copertura a cupola. Non si trattò solo di una derivazione di forme, ma anche di significati: perché, allora, i battisteri si ispirarono a edifici “sepolcrali” sorti intorno alle sepolture degli imperatori prima, e poi di Cristo e dei martiri? Lo stesso Battistero di Firenze sorgerà in un’antica area cimiteriale. La correlazione è teologica: secondo la dottrina della Chiesa con il Battesimo il fedele viene “lavato” dal peccato originale di Adamo e “rinasce” come cristiano; similmente, in merito anche del sacramento ricevuto, spera e crede nella Resurrezione del corpo alla fine dei tempi.
L’ottagono stesso era stato assunto dall’edilizia religiosa cristiana per il simbolismo numerologico insito nella sua geometria: il numero otto rimandava al concetto di “Ottavo giorno”, il primo “oltre” i sette della creazione, quindi al di là della vita e della storia umana, allusivo alla fine dei tempi descritti nell’Apocalisse, al giorno della Resurrezione e della venuta del Regno di Dio. Questa famiglia architettonica ebbe per capostipite il Battistero lateranense, eretto nel IV secolo, e tale modello fu seguito a Ravenna nel battistero Neoniano e in quello detto “degli Ariani”, solo per citarne alcuni tuttora esistenti; mentre tra l’XI e il XII secolo questa tipologia conoscerà nuova linfa, e soprattutto in Italia si assisterà a un moltiplicarsi di battisteri ottagonali con copertura a cupola: a Firenze, Pisa, Pistoia, Parma, Ascoli Piceno e molti altri.
Il Battistero lateranense di Roma.
Ritornando all’epoca paleocristiana, ritroviamo importanti chiese a pianta centrale con copertura a cupola: in Occidente si può citare l’esempio di San Lorenzo Maggiore, a Milano; mentre in Oriente, a Bisanzio, ritroviamo la chiesa dei santi Sergio e Bacco (527-536 d.c.): in entrambi gli edifici è stata elaborata una struttura a pianta quadrangolare, centrata da un ambiente coperto da una cupola a spicchi.
Sono le premesse per la grande basilica di Santa Sofia a Costantinopoli, dominata da quella che sarà la più grande cupola del mondo cristiano per circa nove secoli, finché il primato non le sarà sottratto da quella di Santa Maria del Fiore. Rifondata nell’aspetto attuale dal 532, per volere dell’imperatore Giustiniano I, i geniali architetti chiamati a progettarla furono Isidoro di Mileto e il fisico e matematico Antemio di Tralle. La sua pianta ellittica è dominata da un'imponente cupola del diametro di circa 30 metri e alta 56, a pennacchi, finestrata, sostenuta da un peristilio, da un matroneo e da un cleristorio sovrapposti.
All’interno la cupola appare di straordinaria leggerezza e luminosità, tanto che è stata detta “appesa al cielo”: ampia, dilatata nello spazio, si raccorda ai pilastri quadrangolari di sostegno per mezzo di pennacchi, che ne raccolgono il peso e lo distribuiscono a un sistema complesso di tribune e archi rampanti che la ingabbiano. Questo meraviglioso cielo dorato, in perfetto equilibrio statico e armonia di proporzioni, valeva forse a immagine della sua dedicazione: la “Sofia”, ovvero la “Sapienza di Dio”, che ordina l’universo. Ma qui a Santa Sofia non esiste un accordo tra lo spazio esterno e quello interno (come invece accade nel Pantheon e in S. Maria del Fiore): da fuori infatti non si colgono luminosità, leggerezza e senso di dilatazione percepibili stando dentro.
L'interno della basilica di Santa Sofia ad Instanbul.
Anche in questo caso non sappiamo se e quanto il Brunelleschi conoscesse di quest’architettura, ma la sua fama doveva essere diffusa in tutto il Mediterraneo cristiano, dato che era la sede del patriarca di Costantinopoli e delle cerimonie imperiali. Si deve anche tener presente che dalla fine del XIV secolo i fiorentini erano tornati a interessarsi del mondo “greco”, e che, a pochi anni dal completamento della cupola, sotto la sua ombra presenziarono la corte imperiale e il patriarca di Costantinopoli in occasione del Concilio di riunificazione delle chiese cristiane. Una sua derivazione “italiana” è la basilica di San Vitale a Ravenna: realizzata nel VI secolo da anonimi architetti presumibilmente bizantini su commissione dei potenti vescovi ravennati.
Ancora a maestri bizantini formati sull’esempio di Santa Sofia, ma al servizio del califfo Ommayade, va ricondotto il progetto della più antica moschea del mondo, la “Cupola della roccia”, eretta nel 691 d.C. sull’area dell’antico Tempio di Gerusalemme, uno spazio sacro per tutte e tre le religioni rivelate; presenta una pianta centrale, di forma ottagonale, al centro della quale si eleva un tamburo, coperto da una grande cupola a spicchi, del diametro di circa 20 metri, e alta circa 35, ricoperta in piombo. Qui il riferimento torna ad essere cupola della “Rotonda” della basilica cristiana del Santo Sepolcro, che le è vicinissima.
Dall’XI secolo, anche grazie all’intensificarsi dei commerci con l’Oriente e al fenomeno delle crociate, si assiste in Italia ad un rifiorire di edifici dotati di cupole, di evidente ispirazione bizantina e araba: Venezia avviò l’erezione dell’attuale basilica di San Marco, a croce greca, culminante in quattro cupole minori distribuite lungo i bracci laterali e una maggiore centrale. Il riferimento e forse le stesse maestranze assunte furono bizantine, d’altronde Venezia fu storicamente, per il suo dominio sul Mediterraneo, aperta più agli influssi orientali che a quelli della “metà latina” d’Europa. Contemporaneamente, a Firenze, nel 1059 si avviò la costruzione del Battistero di San Giovanni.
La "cupola della roccia" a Gerusalemme.
Quest’edificio rappresenta il più importante precedente per la cupola di Brunelleschi, anche più del Pantheon romano, e costituisce quindi il trait d’union tra il capolavoro del rinascimento fiorentino e tutta la tradizione passata degli edifici a pianta centrale: dai mausolei antichi alla rotonda dell’Anastasis fino ai martyria e ai battisteri paleocristiani e bizantini.
Come la cupola di Santa Maria del fiore, infatti, la pianta del tempio è ottagonale (diametro: 25,6 metri) ed ha una copertura costituita da una doppia cupola a otto spicchi. All’esterno il Battistero è decorato da quella tecnica a tarsie marmoree geometriche verdi e bianche, che è ispirata ai monumenti imperiali romani, quali il Pantheon, e che sarà poi usata anche nel Campanile di Giotto e in S. Maria del Fiore (con l’aggiunta del prezioso marmo rosa della Maremma). Le ragioni della scelta di Brunelleschi di “citare” l’antico monumento sono molteplici.
Anzitutto, nel XV secolo si credeva che il Battistero fosse stato in origine un tempio pagano, e dunque un modello “vivo” e presente della grande civiltà architettonica antica, il più “degno” da cui apprendere le tecniche costruttive romane. Inoltre, in quanto luogo deputato ai battesimi, rivestiva un ruolo cardine nella vita religiosa e civile della città, che era ribadito dalla sua posizione eminente, di fronte la cattedrale, nonché dallo splendore delle sue decorazioni, sconosciute agli altri edifici della città.
Brunelleschi doveva sottrarre questo primato all’antico tempio e conferire alla sua cupola il ruolo di nuovo “ombelico” di Firenze, ma prima della sua opera il Battistero di Firenze divenne modello per altri che seguirono, su tutti quello di Pisa: anch’esso coperto da una doppia cupola, di cui l’esterna in tegole di terracotta, spartite per spicchi da costoloni marmorei.
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In verità, quando Brunelleschi si accinse a elaborare la sua cupola, fu in parte condizionato da quanto già predisposto da chi l’aveva preceduto a capomastro dell’Opera: le tre grandi tribune, disposte intorno all'enorme vuoto delimitato dai quattro pilastri del presbiterio. In effetti, la forma della futura cupola - a spicchi costolonati, conclusa da una lanterna - la si ritrova già abbozzata nel famoso affresco di Andrea di Bonaiuto nel Cappellone degli Spagnoli in Santa Maria Novella (1365-67): qui la cattedrale metropolitana fiorentina viene assunta a simbolo della Chiesa tutta come istituzione, in merito del suo essere, al tempo, il maggior edificio di culto cristiano al mondo e il più riccamente decorato.
E rimanendo nel sentiero della devozione, si incontra la “micro-architettura” più prossima per forma, tempo e spazio all’opera di Brunelleschi: il Tabernacolo marmoreo di Orsanmichele, opera dell’Orcagna del 1359, destinato a contenere un’immagine miracolosa della Madonna. Ha la forma di un baldacchino a edicola, simile ai cibori romani di Arnolfo, ma impreziosito da marmi intarsiati e – soprattutto – sormontato una cupoletta ogivale costituita da spicchi spartiti da creste, davvero simile a quella del Brunelleschi e certamente a lui nota.
A conclusione, da notare come gli studi moderni sulla cupola, in particolar modo sul problema dell’invenzione del doppio guscio innalzato sul tamburo ottagonale, abbiano riconosciuto un precedente importante in un edificio persiano: il Mausoleo di Oljeitu a Soltaniyeh, vicino a Teheran. L’edificio fu commissionato dall’omonimo regnante sciita come propria sepoltura, all'inizio del XIV secolo: rappresenta uno dei più antichi edifici a doppia cupola del mondo e il più antico del mondo islamico; benché di dimensioni assolutamente inferiori rispetto a Santa Maria del Fiore, acquisì nella storia dell’architettura islamica un peso pari a quello della cupola fiorentina per il mondo cattolico.
Il mausoleo di Oljeitu e la sua doppia cupola.
A dimostrazione di quanto ampie - sia spazialmente che storicamente - siano le radici e gli influssi che ispirarono questo capolavoro monumentale, nel quale sono raccolti millecinquecento anni di storia dell’architettura, e la cui influenza riecheggerà nei secoli: fino ai nostri giorni. Come vedremo nel prossimo post, con l'ultimo appuntamento dedicato alla Cupola del Brunelleschi e ai suoi epigoni.