Opera Magazine
18/02/2014
La Pietà Bandini. Un capolavoro non-finito e imperfetto
Giunto alla soglia degli 80 anni Michelangelo riflette con insistenza sulla morte e ne assume a simbolo un tema classico dell’iconografia religiosa con cui si era già cimentato in gioventù: la Pietà.
Il 18 febbraio 1564, esattamente 450 anni fa, all’età di 89 anni, moriva il protagonista indiscusso del Rinascimento italiano.
Abbiamo già parlato del legame tra Michelangelo e l’Opera di Santa Maria del Fiore nel nostro articolo sul David, pensato inizialmente per adornare un contrafforte della Cupola di Santa Maria del Fiore. Se le opere del giovane Michelangelo cercavano di estrarre dalla materia la bellezza ideale per rappresentare la perfezione assoluta della forma, gli anni della maturità dello scultore sono caratterizzati da una visione del mondo in cui domina l'incompiutezza, il non-finito.
Il Buonarroti inizia a lavorare alla Pietà del Duomo, o Pietà Bandini, dal nome del primo proprietario, nel 1547 pensandola come monumento funerario per la propria sepoltura. L’abbozzo del gruppo scultoreo rappresentava il corpo di Cristo, appena deposto dalla croce, circondato e sorretto da tre figure: la Maddalena alla sua destra, Nicodemo, a cui lo scultore ha prestato il proprio volto - ben riconoscibile dal dettaglio del naso che gli ruppe in fanciullezza il Torrigiani - al centro, e la Vergine a sinistra.
Ad un esame ravvicinato la Pietà rivela lo stato di incompiutezza tipico dell’ultimo periodo di Michelangelo: nelle parti autografe è ancora possibile scorgere l'uso di tutti gli arnesi familiari allo scultore, come la subbia da taglio per il primo abbozzo dei volumi, lo scalpello e l'unghietto.
La rabbia distruttiva
All’incompiutezza dell'opera venne ad aggiungersi il danno causato dal maestro stesso nel 1555 quando, fuori di sé, decise di distruggere la statua prendendola a martellate.
Come racconta il Vasari, sono sostanzialmente tre i motivi che spinsero Michelangelo a compiere questo gesto disperato: la durezza e le impurità del blocco di marmo, l’insoddisfazione tipica dell’artista, e l’assillante insistenza di un servitore che lo incitava a finire l’opera. La vittima più importante dell'aggressione michelangiolesca fu la gamba sinistra del Cristo, scalpellata via dopo esser stata scolpita, ma anche le braccia delle figure vennero spezzate. Fu un suo allievo, il Calcagni, a cercare di ripristinarla e ad agire da agente per la sua vendita al Bandini, desideroso di inserirla nella sua villa di Montecavallo.
Per quanto grave, questo danno non ci impedisce di apprezzare la sapienza compositiva del genio toscano che, conferendo al gruppo una sorta di interna animazione spirituale, ha quasi spogliato il marmo della sua materialità. Il gruppo scultoreo, collocato inizialmente nella villa romana di Francesco Bandini, fu invano richiesto dal Vasari per la tomba di Michelangelo. Solo nella seconda metà del Seicento il granduca Cosimo III riuscì a trasferirlo a Firenze e a collocarlo nella cripta medicea di San Lorenzo.
A partire dal 1722 la scultura fu trasferita nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore, dove rimase fino al 1981 quando fu spostata nella sua collocazione attuale, il Museo dell’Opera del Duomo di cui rappresenta, forse, il massimo capolavoro.