Opera Magazine
23/05/2024
L’Opera di Santa Maria del Fiore acquista un ritratto inedito in terracotta di Filippo Brunelleschi
L’opera fu realizzata nel 1447 da Andrea di Lazzaro Cavalcanti detto il Buggiano, figlio adottivo e unico erede di Brunelleschi
Si tratta di una eccezionale scoperta: dopo quasi sei secoli è stato ritrovato il modello del ritratto di Brunelleschi per il monumento commemorativo nel Duomo di Filippo Brunelleschi
COMUNICATO STAMPA
L’Opera di Santa Maria del Fiore ha acquistato un’inedita scultura del primo Rinascimento che ritrae Filippo Brunelleschi, il grande architetto celebrato già dai contemporanei per la grandiosa impresa della Cupola del Duomo di Firenze e quale fautore della Rinascita delle arti nel primo Quattrocento. Si tratta di una testa in terracotta (cm 25,6 x 22,1 x 20,2) modellata senza l’ausilio di un calco, plasmando un compatto blocco di argilla quasi pieno, come testimonia anche il peso considerevole (kg. 7,1), da Andrea di Lazzaro Cavalcanti detto il Buggiano (1412 - 1462), figlio adottivo e unico erede di Brunelleschi, all’indomani della morte del padre.
L’eccezionale scoperta si deve agli storici dell’arte Giancarlo Gentilini e Alfredo Bellandi che hanno identificato in questa scultura il modello realizzato dal Buggiano, presumibilmente tra febbraio e marzo del 1447, per il busto marmoreo del Brunelleschi destinato al monumento commemorativo nel Duomo di Firenze a lui affidato dagli Operai dell’Opera di Santa Maria del Fiore.
La scultura, rinvenuta tra gli arredi di una dimora storica dell’area fiorentina - incredibilmente sopravvissuta a quasi 700 anni di vita, considerato la delicatezza del materiale di cui è fatta - è stata acquistata dall’Opera di Santa Maria del Fiore per 300mila euro e, dopo il restauro, sarà esposta in mostra per poi entrare a far parte della collezione del Museo dell’Opera del Duomo.
Si può senza dubbio dire che si tratta di una scoperta eccezionale perché, oltre all’indubbio valore dell’arte di Andrea Cavalcanti, sono rarissimi i ritratti del Brunelleschi coevi o di poco successivi alla sua morte. A parte quello nel monumento marmoreo nella Cattedrale di Firenze e la maschera mortuaria nel Museo dell’Opera del Duomo, se ne conoscono solo altri due in pittura: il profilo giovanile inserito da Masaccio negli affreschi della Cappella Brancacci al Carmine, nella scena raffigurante San Pietro in cattedra (1427-28), e quello assai più modesto nella nota tavola conservata nel Museo del Louvre, attribuita dal Vasari a Paolo Uccello e oggi discussa con una datazione verso il 1470. Va aggiunto che si tratta di una delle più antiche effigi in terracotta esistenti, non lontana dal celebre busto di Niccolò da Uzzano riferito a Donatello o Desiderio da Settignano (Firenze, Museo Nazionale del Bargello) che quindi costituisce anche una significativa testimonianza della rinascita di un genere quale fu il ritratto scultoreo tra i più rappresentativi del nuovo spirito dell’Umanesimo.
“La testa in terracotta con le fattezze del volto di Filippo Brunelleschi fu plasmata da Andrea Cavalcanti (il Buggiano), che di Filippo fu figlio adottivo ed erede - afferma Antonio Natali, consigliere dell’Opera di Santa Maria del Fiore - È noto che entrambi ebbero dall’Opera di Santa Maria del Fiore incarichi ragguardevoli: di Brunelleschi non importa dire, mentre del Buggiano andranno ricordati i mirabili lavabi umanistici nelle sagrestie del duomo e, in questo frangente, soprattutto il monumento celebrativo di Brunelleschi in cattedrale, che ha il suo modello proprio nell’odierna testa di terracotta. Della quale, con queste premesse, ognuno capirà come fosse perfino ineluttabile l’acquisizione da parte dell’Opera di Santa Maria del Fiore”.
“Riteniamo che sia davvero un’opportunità eccezionale, un privilegio impensabile, poter presentare l’inedito, vivido ritratto di Filippo Brunelleschi, modellato dal figlio adottivo, Andrea Cavalcanti, all’indomani della sua morte, affermano Giancarlo Gentilini e Alfredo Bellandi. Come ben si desume da molteplici aspetti formali e tecnici, l’opera che qui presentiamo è dunque da ritenere il modello approntato dal Buggiano per l’esecuzione del ritratto marmoreo. Si tratta di un ritratto ‘al vero’, considerando che Brunelleschi era notoriamente “piccolo di persona e di fattezze” (Vasari 1568), e le misure del volto (forse leggermente ridotte dal consueto ‘ritiro’ dell’argilla) sono sostanzialmente equiparabili a quelle che si ravvisano nella maschera mortuaria in gesso e nell’effigie marmorea, ma rispetto al calco facciale l’immagine, ora priva della contrazione del rigor mortis, assume proporzioni più armoniche, il volto è quasi iscrivibile in una sfera”.
L’opera necessita di un restauro, in quanto seppur integra (a parte un’unica lacuna nel mento, che una vecchia, maldestra integrazione in gesso fa sembrare più estesa), presenta diffuse scalfitture e residui di una velatura gessosa e tracce di varie stesure pittoriche (una con apparenti tonalità naturalistiche e almeno due di colore bruno, forse per simulare il bronzo, posteriori al restauro del mento).
Le fasi della vicenda
Il 15 aprile 1446 Brunelleschi muore nella sua casa a Firenze e verosimilmente il Buggiano realizza nello stesso giorno e luogo, dove anch’egli viveva, la maschera funeraria secondo un uso del mondo antico romano ben noto e praticato a Firenze. Il 30 dicembre dello stesso anno, I Consoli dell’Arte della Lana stabiliscono che il corpo di Brunelleschi, provvisoriamente deposto nel Campanile di Giotto, venga sepolto in Cattedrale. Il 18 febbraio dell’anno successivo, il 1447, gli Operai dell’Opera di Santa Maria del Fiore deliberarono la realizzazione di un monumento parietale in suo onore, costituito dalla sua “figura al naturale” e da una ‘memoria’ celebrativa epigrafica affidata al Marsuppini. Poco dopo, il 27 febbraio, Andrea Cavalcanti, da tempo attivo nel cantiere di Santa Maria del Fiore, riceve dall’Opera il marmo necessario per realizzare il monumento. Tra febbraio e marzo 1447, il Cavalcanti realizza il modello per il busto clipeato del monumento commemorativo nel Duomo di Firenze. Il monumento sarà terminato nel 1447, sappiamo che era ancora in lavorazione verso la fine di maggio quando fu approvato il testo composto dal Marsuppini. Il modello, presumibilmente, dopo la realizzazione del monumento, fu relegato nella bottega dello scultore tra i materiali di studio e sussidiari. Lo stato di conservazione dell’opera testimonia un successivo reimpiego come scultura autonoma, probabilmente conservata a lungo con la consapevolezza dell’illustre identità dell’effigiato poi in seguito caduta nell’oblio.
Andrea di Lazzaro Cavalcanti detto il Buggiano dal borgo della Valdinievole dove nacque nel 1412, figlio del mezzadro del fratello di Brunelleschi, venne adottato all’età di sette anni da Filippo, già affermato e influente come scultore e architetto, che lo inserì nei principali cantieri delle chiese fiorentine dove scolpì opere ragguardevoli in gran parte progettate dallo stesso Brunelleschi, come i due splendidi lavabi delle Sagrestie del Duomo e il Sepolcro mediceo al centro della Sagrestia Vecchia in San Lorenzo. Scultore prolifico e versatile in marmo, legno, terracotta e stucco, viene ricordato da Antonio Manetti nella Notizia di Filippo di ser Brunellesco (Vita di Filippo Brunelleschi) (1487 ca.) come “suo discepolo” e “sua reda”, e di questa illustre tradizione cittadina si nutre Vasari nell’edizione Torrentina delle Vite dove traccia un breve profilo dello scultore che morì a Firenze il 21 febbraio 1462.
Artista d’estrazione donatelliana dallo stile austero di vellutata marmorea delicatezza nei suoi fanciulli carichi di un vigoroso espressionismo fisiognomico che popolano sarcofagi all’antica, lavabi e rilievi mariani, il Buggiano si distingue nel revival classicista del primo Quattrocento per una rivisitazione dell’arte antica guidata da conoscenze filologiche e dall’adesione al naturalismo quattrocentesco ispirata da Donatello, Michelozzo, Luca della Robbia e Bernardo Rossellino - che intorno al 1450 lo coinvolse per il coronamento del Monumento Bruni in Santa Croce -, tramite i quali declinò il suo stile composito con un timbro volutamente arcaistico che lo distingue nel pentagramma della scultura rinascimentale.