Opera Magazine
26/02/2024
Il pavimento di Santa Maria del Fiore: il tappeto di marmo per la Cattedrale del Granduca
Una delle meraviglie meno conosciute della Cattedrale di Santa Maria del Fiore è il suo pavimento: storia, curiosità e ragioni di un'opera straordinaria.
Quando si pensa a un’importante decorazione pavimentale, in Italia, usualmente si pensa a quell’enorme ciclo di storie su pietra che è il pavimento della Cattedrale di Siena, o al grande mosaico allegorico della cattedrale di Otranto. Pochi però tengono presente che all'inizio del XVI secolo a Firenze si avviò la realizzazione di un nuovo rivestimento a intarsi marmorei per la Cattedrale di S. Maria del Fiore, su disegno del Cronaca prima e di Giuliano di Baccio d’Agnolo e Francesco da Sangallo poi, e che costituisce un esempio unico per ricchezza e varietà di disegno e di materiali, nonché per dimensioni. La magnificenza di quest’opera, infatti, è rimasta intatta a distanza di secoli.
Nel XVI secolo la Cattedrale divenne il teatro delle cerimonie di corte del nuovo granducato mediceo. Questo nuovo ruolo conferitole dal mutato governo cittadino corrispose a una nuova fase di decorazione artistica della stessa. Il primo granduca, Cosimo I, fin dai primi anni del suo regno e per tutta la durata dello stesso, promosse fortemente questi lavori di rinnovamento, i quali non tesero a una radicale trasformazione dell’edificio, ma a rivestirlo di una nuova “pelle”, che ne ampliasse lo splendore secondo un nuovo gusto ma mantenendosi in continuità con la tradizione; il significato era evidente: il nuovo granducato voleva mostrarsi continuatore e promotore dei valori e delle tradizioni dell’antica Repubblica.
L’austero aspetto della Cattedrale fu quindi parzialmente mutato in una fastosa policromia di marmi, pitture parietali, decorazioni plastiche e statue. Il progetto previde la realizzazione di un imponente coro monumentale, in marmi misti, che fungesse da fulcro visivo e scenografico alle cerimonie cittadine e granducali, in sostituzione dell’antico e deperito coro ligneo del Brunelleschi; alle pareti furono eretti grandi altari in marmo di Serravezza, con nicchioni destinati a contenere statue marmoree; sotto il granducato di Francesco I si completerà il rivestimento marmoreo esterno: si demolirà l’antica facciata arnolfiana per una moderna in stile romano post-tridentino (che non vedrà mai la luce) e, al di sopra del coro, sarà completato il Giudizio Universale, a opera di Vasari e Zuccari.
In questo esteso e prolungato cantiere ebbe un ruolo centrale il progetto di rinnovamento del pavimento, che previde la sostituzione del cotto antico con un tappeto di intarsi marmorei a disegno geometrico. In realtà, la vicenda della realizzazione della nuova pavimentazione ebbe una gestazione complessa, soprattutto nel suo avvio, che avvenne negli ultimi anni della Signoria. La prima notizia pervenutaci è infatti del maggio del 1500, quando si fa richiesta al capomastro dell’Opera, Simone del Pollaiolo, detto il Cronaca, di occuparsi del mantenimento dell’antica pavimentazione che si presentava molto logora: qui si originò la proposta di ripavimentare in marmo l’intera cattedrale.
La pianta disegnata da Bernardo Sgrilli nel '700.
Nel 1504 i Consoli dell’Arte della Lana e gli operai dell'Opera di S. Maria del Fiore convennero di avviare il rinnovamento pavimentale dall’area attorno all’ottagono del coro: il Cronaca elaborò un disegno riproducente la proiezione sul piano di quei lacunari, che probabilmente avrebbero dovuto rivestire la cupola (ispirati ai celebri del Pantheon), così da creare una corrispondenza speculare tra l’alto e il basso dello spazio presbiteriale. La prima cappella ad essere ripavimentata, nel 1505, fu quella di San Tommaso: il disegno dell’intarsio qui è geometrico ma d’ispirazione ancora cosmatesca, forse seguendo un antico disegno di Brunelleschi o Ghiberti.
Alla sua morte, nel 1508, il Cronaca aveva completato gran parte dell’ottagono intorno al coro, ma i lavori s'interruppero a causa della notevole quantità di risorse economiche distratte dalla messa in opera del tamburo di Baccio d’Agnolo. I lavori alla pavimentazione ripresero nel 1520 sotto Baccio d’Agnolo e da allora proseguirono senza interruzioni: nel 1524 si completò il pavimento intorno al coro, nel 1525 quello della tribuna di San Zanobi, l’anno successivo quello della tribuna della Croce e nel 1528 si ultimò anche quella di Sant’Antonio. Qui Baccio s’ispirò per le geometrie degli intarsi ai tappeti turcomanni, allora circolanti nel mercato del lusso europeo.
Giunti in epoca granducale, il disegno e il cantiere dell’intera pavimentazione della cattedrale furono interamente affidati a Baccio d’Agnolo, affiancato da Francesco da Sangallo. Attorno a questi artisti ne ruotavano altri nel cantiere, tra cui Baccio Bandinelli, col quale d’Agnolo stava portando avanti il progetto del nuovo coro; e nell’impegno del pavimento a intarsio ne seguiranno altri col ruolo di esecutori del disegno originario, tra cui il figlio dello stesso Baccio: Giuliano.
La nuova pavimentazione fu un lavoro ciclopico per costi, quantità di materiali e manodopera, nonché tempo: la sua ultimazione avvenne nel 1660, ben un secolo e mezzo dopo i primi lavori del Cronaca, e la sua magnificenza e ricchezza destarono una meraviglia universale che ne divulgarono presto la fama in tutta Europa, seguita dalla credenza che un disegno così bello e perfetto fosse di Michelangelo. Il pavimento si presenta oggi pressoché immutato (se non per piccole alterazioni avvenute nel XIX e XX secolo in alcune cappelle delle tribune): un enorme insieme di tappeti geometrici, posti entro gli assi ortogonali delle navate, e costituito da un susseguirsi di caleidoscopiche e elaboratissime “ruote” circolari o ottagonali, generanti giochi di illusione prospettica.
Se i pavimenti in coccio pesto, o a mattonelle in crudo e cotto, erano usuali per gli edifici fiorentini del tempo, l’uso della tecnica dell’intarsio marmoreo è un segno del passaggio all’era “moderna”. Da una parte questa tecnica richiamava e si rifaceva alla tradizione dei tappeti marmorei romanici, che a Firenze aveva i suoi esempi illustri in Battistero e a San Miniato, ma più esplicitamente i disegni di Baccio d’Agnolo e del Sangallo volevano rievocare con raffinato gusto i fasti pavimentali dell’edilizia imperiale romana, su tutti quelli del Pantheon.
Le bicromie bianche e verdi del romanico toscanico e le micro-tessere dal sapore musivo degli esempi cosmateschi furono superati sia nell’ampiezza della gamma dei colori usati, sia nel numero che nella varietà delle pietre scelte. Per i tasselli furono selezionati il “Nero di Colonnata” e il “Verde di Prato”: il primo fu preferito per le sezioni più scure; mentre il “Verde di Prato” fu preferito per i suoi riflessi bluastri e per il suo variare dal verde scurissimo a quello brillante. Per i tasselli rossi furono usate due diverse qualità di marmo: il “Rosso di Monterantoli” e il “Rosso ammonitico” proveniente dalle Alpi centrali. Il marmo bianco, infine, è un marmo apuano impuro e fragile.
Consistente è anche l’uso dei materiali “brecciati”, di molte qualità diverse, di provenienza sia toscana che extraregionale. Ancora sono presenti qualità di pietre “esotiche”: sembrerebbe di poter ritrovare in alcuni intarsi della navata centrale il Marmo Misio e il “Verde antico di Tessaglia”. Sono state riconosciute anche porzioni di “Marmo africano” dalle tonalità variabili dal rosa al giallo al grigio-blu. Infine, proveniente dalle cave del Monte Ferrato, risulta presente nel lavoro d’intarsio anche il cosiddetto “Granito dell’Impruneta”.
Questo lungo elenco permette di farci un’idea di quali furono la spesa e le dimensioni del cantiere e ci lascia intuire alcuni significati nella scelta dei materiali. Da una parte, infatti, si riconosce una citazione dei fasti architettonici della Firenze repubblicana nell’uso dei tre colori – bianco, verde, rosa - del Campanile di Giotto e del rivestimento della Cattedrale e s'intravede un richiamo al romanico fiorentino; ma quest’antica tradizione è proiettata in una dimensione “moderna” per dimensione e significati, cioè l’estendersi del dominio fiorentino a tutta la Toscana e al suo farsi capitale di uno Stato moderno: un regno guidato da un duca. Ecco che si allarga la varietà delle cave, quasi a voler raccogliere in questo luogo centrale frammenti rappresentativi dell’estensione e della varietà geologica del territorio del regno. Un messaggio politico che qualificava la Cattedrale come chiesa della “capitale” e cuore della vita religiosa dei toscani.
Seguendo questo significato, anche l’uso dei marmi esotici non risponde solo al gusto per la varietà o per il raro, bensì sembra imitare le consuetudini degli antichi imperatori romani, che ornavano gli edifici di Roma con pietre provenienti dai quattro angoli dell’impero. In tal senso è significativa la sostituzione del marmo rosa della Maremma, dei monumenti trecenteschi, con i rossi scuri, evocativi del porpora imperiale. Il messaggio politico è esplicito: il Granduca, da una parte, nell’abbellire la Cattedrale, riaffermava l’amore per la tradizione antica e se ne faceva garante e nume tutelare; dall’altra assimilava Firenze all’antica Roma, capitale dell'Impero.
Aggiungiamo inoltre che l’alluvione del 1966 fu l’occasione per un restauro e uno studio dell’intero pavimento. Si scoprì che alcuni pezzi erano frammenti dagli antichi cantieri del Duomo e del Battistero, riutilizzati rovesciati e rilavorati a tergo. Una notizia quella del reimpiego che può lasciare sconcertati, se letta nel senso di un “risparmio”, viste le spese complessive del progetto; ma vi si dovrà piuttosto riconoscere una cultura che aveva sì il culto della magnificenza, ma non dell’eccesso fine a se stesso, e che conservava ogni frammento delle proprie pietre come testimonianze della grandezza della Firenze romanica e gotica.
A conclusione, si può dire che questo enorme interesse per l’intarsio sfocerà poi a Firenze nella fondazione nel 1588 del famoso Opificio delle Pietre Dure, a sua volta connesso al grande cantiere mediceo del XVII secolo: la Cappella dei Principi in San Lorenzo, il cui interno è interamente rivestito di intarsi marmorei.