Opera Magazine
18/04/2018
Brunelleschi, la Cupola e i suoi discendenti
La Cupola del Brunelleschi ha influenzato molte opere e architetture successive alla sua costruzione, in Italia e all'estero. Ecco alcune fra le più significative.
La fama della cupola di S. Maria del Fiore si diffuse in tutto il mondo cristiano, forse prima ancora della sua ultimazione con la messa in opera della lanterna e della "palla" sommitale: già dopo il Concilio del 1439, i dignitari bizantini presenti poterono riportarne notizia fin nell’estremo oriente. La sua forma si diffuse e fu imitata o “citata” in infinite architetture sacre e non, per secoli e in tutto l’Occidente. Talvolta fu riconosciuto nel suo disegno un valore simbolico di unità e centralità; altre volte fu ripresa nel senso di immagine rappresentativa della stessa Firenze; altre volte fu ripresa perché architettura “mariana” in altri luoghi dedicati alla Madre di Dio; in altre occasioni fu “citata” semplicemente in relazione alla sua fama e bellezza.
Infine, la ritroviamo “declinata” in architetture “minori” e popolari, prova dell’affetto e del legame provati dai toscani per la loro architettura maggiore, e della funzionalità delle scoperte strutturali di Brunelleschi, via via assorbite dalla cultura architettonica anche 'minore' di cappelline, tabernacoli, altari, cappelle, cibori, fino a opere di muratura di uso quotidiano, come il forno per laterizi realizzato con la tecnica dei mattoni a spina di pesce ritrovato nel Museo dell’Opera del Duomo.
La prima “cupola” che fu eretta in dialogo e a rivaleggiare con quella della cattedrale fu quella del Santuario della SS Annunziata. Nel quinto decennio del XVI secolo fu avviata da Michelozzo la costruzione della grande rotonda presbiteriale, che sarà poi completata da Leon B. Alberti. Si tratta di un corpo architettonico unito e al tempo stesso autonomo dal resto della Basilica, come in S. Maria del Fiore. Il triconco su pianta ottagonale della cupola del duomo diventa qui un’alta torre sfaccettata; e così la cupola, che è sì in tegole di terracotta, ma ribassata e dotata di oculo privo di lanterna, più simile al Pantheon di Roma che al capolavoro di Brunelleschi.
Ben più affine al modello è la cupola di uno dei maggiori santuari mariani d’Italia: quello della Santa Casa di Loreto, opera, non a caso, di artisti fiorentini. Benedetto da Maiano ne eresse il tamburo ottagonale con finestre a oculo, così che questo alla fine del XV secolo si presentò come uno spazio del diametro di 22 metri (inferiore solo a quello di S. Maria del Fiore), che Giuliano da Sangallo voltò in soli nove mesi, conferendole un aspetto in tutto simile all’archetipo fiorentino: a spicchi rivestiti in piombo, con profilo ad arco ogivale, e dotata di lanterna sommitale.
La basilica della Santa Casa di Loreto.
Gli eredi della rivoluzione architettonica del Brunelleschi formularono numerose “riflessioni” sul tema della cupola e della pianta centrale. Tra queste la più dichiaratamente ispirata a quella di S. Maria del Fiore è la cupola posta a coronamento della chiesa di Santa Maria al Calcinaio, a Cortona, che svetta su tamburo ottagonale, innalzandosi su profilo ogivale, con copertura a piombo segnata da creste, e lanterna sommitale: un capolavoro eseguito quasi certamente su disegno del senese Francesco di Giorgio Martini, benché l’esecuzione spetti al fiorentino Pietro di Domenico di Norbo (1514).
Un altro grande erede extra-fiorentino della lezione brunelleschiana, l’urbinate Bramante - affiancato da altri “intendenti” di architettura come Amadeo e Francesco di Giorgio Martini con, forse, Leonardo da Vinci - immaginarono alla fine del Quattrocento per il duomo di Pavia un altissimo tamburo ottagonale segnato da oculi, coperto da una cupola a doppia calotta, in muratura e con rivestimento esterno in piombo, conclusa da una lanterna con una diagonale interna di ben 30 metri e un’altezza di 90. Questa, però, sarà completata soltanto secoli dopo, alla fine del XIX secolo.
Il duomo di Pavia.
Di nuovo Bramante, stavolta a Roma, nel primo cortile del convento di San Pietro in Montorio, realizzò il cosiddetto “Tempietto”: un Martyrium rinascimentale, nel luogo della crocifissione di San Pietro. È un edificio a pianta centrale, periptero, dotato di cupola (di raggio 4,50 metri) rivestita in lamine di piombo e culminante in una lanterna. Ma la struttura interna di questa cupola è assai diversa da quella del Duomo fiorentino e guarda più al Pantheon di Roma: come quel tempio è costituita da un unico blocco cementizio, e la sua forma è emisferica (l'altezza dalla base del tamburo è pari al suo raggio).
Possiamo considerare questo gioiello micro-architettonico il banco di riflessione di Bramante per il suo progetto più ambizioso: la nuova basilica San Pietro. La vicenda del cantiere della casa madre della cristianità è lunga e complessa, e Bramante ne rappresenta un momento d’impostazione iniziale, cui ne seguiranno altri. Ma fin da subito tra le proposte che furono formulate (Bramante, Antonio da Sangallo il giovane, Raffaello) ci fu quella di eseguire un edificio a pianta centrale sormontato da una grande cupola: doveva avere forme che rimandassero ai concetti di unità e centralità, così che apparisse chiaro il suo dichiarare la Roma dei papi ”ombelico” e "capitale" della fede cristiana.
Nel susseguirsi dei capo cantiere capitò infine a Michelangelo Buonarroti il compito di disegnare il tamburo e la grande copertura a cupola; famoso quanto tramandato da Vasari: quando Michelangelo partì da Firenze alla volta di Roma avrebbe dichiarato (rivolgendosi alla cupola di S. Maria del Fiore): “Vado a Roma a far la tua sorella, di te più grande sì ma non più bella”. In verità il tamburo ha un diametro inferiore a quello di S. Maria del Fiore di circa 5 metri, mentre la sua altezza complessiva la supera di circa 15 metri.
Come la cupola fiorentina è a doppia calotta, ma è impostata su un tamburo circolare. Benché la forma differisca appena da quella del Duomo fiorentino, così come i materiali, che vedono il travertino nel tamburo e il piombo a copertura degli spicchi e delle creste, quella di San Pietro è evidentemente una sua derivazione diretta. Nel 1593, al suo completamento, la cupola di S. Pietro si ergeva su tutto il mondo cattolico, togliendo il titolo di capitale della cristianità e delle arti a Firenze.
In un gioco anche di rivalità con l’Urbe, in Toscana si proseguì nel citare il capolavoro di Brunelleschi. Al centro di Pistoia s’innalza una “piccola cupola di Santa Maria del Fiore”: a base ottagonale, a doppia calotta, di cui l’esterna in tegole in cotto, a spicchi spartiti da costoloni, conclusa alla sommità da una lanterna marmorea; solo la curva dell’arco differisce perché più basso e schiacciato. È la cupola della chiesa di Santa Maria dell’Umiltà, realizzata su incarico del Granduca Cosimo I da Vasari nel 1563: citando il duomo fiorentino in scala ridotta era evidente l’intento di sottolineare il ruolo di Firenze capitale rispetto alle altre città, un tempo liberi comuni e ora sue declinazioni in scala ridotta.
All’inizio del XVII secolo, la casata granducale avviò la costruzione del proprio sepolcro monumentale affidando il progetto a Giovanni de’ Medici e la realizzazione a Matteo Nigetti: sono le Cappelle dei Principi, che con i loro 53 metri d'altezza si elevano sullo skyline fiorentino, seconde per altezza solo alla cupola del Duomo. E a quella si ispirano anche nelle forme: la Cappella è infatti un edificio a pianta centrale ottagonale, in pietra forte e marmo bianco, coperta da una cupola, a sua volta culminante in una lanterna, similissima a quella di S. Maria del Fiore.
Andando a Londra, troviamo un’interessante derivazione della cupola di Brunelleschi in quella di St. Paul. La città fu rasa al suolo nel 1666 da un incendio che investì anche l’antica cattedrale. Il progetto per la sua ricostruzione fu affidato all’architetto Wren, che con ostinazione portò avanti un difficile cantiere che si concluse con la realizzazione di una grande cupola nel 1708. La cupola è caratterizzata all’esterno in pianta da un ampio tamburo e in alzato da un arco prossimo a San Pietro. Ma più interessante è la struttura interna, che manifesta gli studi di Wren sulla doppia calotta della cupola brunelleschiana e dei battisteri di Firenze e Pisa: la struttura portante è infatti un cono in muratura, occultato da una cupoletta in legno rivestita in piombo; all’interno è poi una terza copertura, a calotta, a voltare la crociera. Le sue forme colossali la pongono in antitesi a San Pietro, cui è seconda per grandezza affermandosi come un secondo polo del cristianesimo europeo, di confessione anglicana.
Ma la forma della cupola di Santa Maria del Fiore ispirò anche architetture “minori”, specialmente in Toscana. Bellissime nella semplicità delle dimensioni e dei luoghi meritano di essere conosciute diverse cappelline che punteggiano il contado, dall’aspetto quasi di modellini in scala ridotta della cupola di S. Maria del Fiore. Tra le più belle: in zona di Certaldo, l’Oratorio di Sant’Antonio a San Martino a Maiano e la Cappella Rogai; sulla via Pratese (Peretola) fa capolino la cappellina di Santa Maria della Vergine della Pietà; a Monterappoli è il cinquecentesco Oratorio di San Pietro in Castro; e ancora si potrebbe suggerire il Tempio di Santo Stefano della Vittoria a Foiano, opera, quest’ultima, realizzata dal Vasari su incarico di Cosimo I.
Ancor più di quest’ultima, bella e fedele all’archetipo è la Cappella di San Michele Arcangelo a Semifonte, la quale riproduce esattamente per forma e dimensioni il tamburo e la cupola a doppia calotta di Brunelleschi, in proporzione 1 a 8. Fu commissionata al grande pittore e architetto Santi di Tito, nel 1594, dalla famiglia Capponi, per luogo di sepoltura ai caduti nella lunga guerra che aveva segnato questi territori, ma anche come segno evidente del definitivo dominio fiorentino su queste terre.
La Cappella di San Michele Arcangelo a Semifonte.
Infine, meritano di essere ricordate alcune derivazioni e citazioni della cupola in oreficeria sacra, a riprova di quanto gli artisti fiorentini avessero ammirato e fatte proprie le forme della cupola fin dai primi anni della sua realizzazione.
È sufficiente una visita ai capolavori del Museo dell’Opera del Duomo per trovarne esempi espliciti: nella sala della Cappella delle reliquie ben tre reliquiari – quello di sant’Antonio abate (1514); quello di san Girolamo (1487); quello di san Filippo (1425) e quello dei santissimi Apostoli (XV secolo) – recano nel disegno memoria della lanterna e della cupola a otto spicchi. Evidenti riferimenti all’archetipo brunelleschiano sono anche gli elementi decorativi presenti nel fusto del Cero Pasquale conservato nella Teca dorata, e la celeberrima Croce d’argento del Pollaiolo, nel cui fusto è una lanterna ottagonale, sormontata da una cupola, che ha quasi il sapore di una dedica al progetto di “ser Brunellesco”.