Opera Magazine
31/12/2014
Una Lanterna per la Cupola del Duomo di Firenze
Il 31 dicembre cade la ricorrenza dell'approvazione del modello della Lanterna della Cupola proposto da Filippo Brunelleschi, completata il 23 aprile 1461. Ne parliamo con Francesco Paolo di Teodoro.
Completata la Cupola il 30 agosto del 1436, i costoloni venivano a convergere in un anello di circa sei metri di diametro ponendo il problema della chiusura della struttura. Nonostante la mirabile impresa della Cupola, il progetto della Lanterna non fu assegnato direttamente a Brunelleschi ma fu indetto un nuovo concorso. Dobbiamo sorprenderci di questo modo di operare o rientra nelle procedure dell’epoca? Quali sono le modalità con cui venne scelto e approvato il modello di Brunelleschi?
Certamente rientra nelle procedure dell’Opera – almeno a partire dal Quattrocento – e comunque la pratica del concorso era stata inaugurata a Firenze nel 1401 per l’esecuzione della Porta Nord del Battistero da parte dell’Arte di Calimala. E se è vero che venne indetto un concorso per la lanterna, tuttavia Filippo Brunelleschi aveva su di essa una sorta di “ipoteca” dal momento che già con una delibera del 30 ottobre 1432 gli veniva data la possibilità di realizzarne un modello «chome a lui pare». Inoltre, stando a quanto si evince dalla narrazione del biografo Antonio di Tuccio Manetti e dalle Vite del Vasari, Brunelleschi poté criticare (o semplicemente criticò) i modelli degli altri concorrenti, in particolare quelli che Antonio Manetti Ciaccheri, allora semplice legnaiuolo, presentò a più riprese. I fatti non dovettero svolgersi con serenità se il documento d’approvazione del modello di Filippo, datato 31 dicembre 1436, invitava il grande architetto fiorentino a mettere da parte ogni rancore («deponere omnes rancores in eo permanentes»), invitandolo ad accettare quei miglioramenti suggeriti dai modelli altrui presentati per il concorso.
Il modello di Brunelleschi venne scelto perché, rispetto a quello degli altri, la lanterna appariva più bella e proporzionata («melior forma» si legge nel documento di approvazione del 1436), era più forte, più leggera, consentiva una maggiore luminosità al grande invaso cupolato ed era concepita in modo da allontanare da sé le acque meteoriche che, così, non le avrebbero procurato danni. I criteri che guidarono la scelta degli Operai sono quelli della terna vitruviana di “firmitas” (fortezza, leggerezza, preservazione dai danni), “utilitas” (luminosità) e “venustas” (bellezza). Gli stessi riferimenti vitruviani li leggiamo nell’“Opinio” di Donato Bramante relativa al tiburio del duomo di Milano di circa cinquant’anni dopo. Mi piace ricordare l’architetto marchigiano per due ragioni: la prima è che in lui Giorgio Vasari vede un novello Brunelleschi, in quanto iniziatore dell’architettura del nuovo secolo, il Cinquecento. In secondo luogo perché quello che sta finendo è stato l’anno di Bramante, morto nell’aprile 1514.
Filippo Brunelleschi morì il 15 aprile 1446, poco dopo la posa della prima pietra della Lanterna. Chi portò avanti la realizzazione del progetto e quanto fedelmente furono seguite le indicazioni del suo ideatore?
I successori di Brunelleschi furono nell’ordine, e a partire dall’agosto 1446, Michelozzo di Bartolomeo, Antonio Manetti Ciaccheri, Bernardo del Borra (Bernardo Rossellino), e Tommaso Succhielli, sotto il quale la lanterna venne completata con l’apposizione del bottone, della palla (commissionata ad Andrea del Verrocchio) e della croce. Il biografo Antonio di Tuccio Manetti scrive che, poiché Filippo non era solito realizzare i suoi modelli sin nei più minuti particolari (quali i “modi” di capitelli, architravi, fregi e cornici) ritenendo di doversene occupare nel corso della realizzazione «con l’arme sue medesime» – cioè con le sue conoscenze e maestria – la lanterna risulta diversa dal modello approvato.
In specie sarebbero sbagliati i capitelli delle paraste angolari, le modanature degli architravi collocati in corrispondenza dei passaggi al di sotto degli speroni a voluta e dei catini a conchiglia, allo stesso tempo gli archetti sopra le semicolonne cadono in falso e sono troppo rialzati. Purtroppo non conosciamo esattamente come fosse il modello di Brunelleschi: quello ligneo del Museo dell’Opera del Duomo – che è ancora oggetto di discussione da parte degli studiosi – non è certamente quello che Filippo presentò al concorso. Infatti Giorgio Vasari scrive che uno dei pilastri era cavo per consentire la salita alla palla: cavità assente dal modello che si conserva, ma presente nell’opera realizzata.
Sia la Lanterna che la palla dorata posta alla sua sommità hanno subito più volte danni causati da fulmini e intemperie. L’episodio più noto, di cui vi è ancora traccia in Piazza Duomo, risale al 1601 quando la palla del Verrocchio cadde a terra colpita da un fulmine. Quali sono gli avvenimenti più rilevanti legati agli eventi naturali?
I fulmini – che «di continuo ... tutto il giorno la percuotono», come scrive Vasari – sono stati gli eventi più traumatici subiti dalla lanterna, in concomitanza con i terremoti (tra i più rilevanti quelli del 1453, 1542 e 1695, mentre erano in corso le operazioni di controllo del quadro evolutivo delle lesioni presenti nella Cupola). Il primo disastroso fulmine di cui si ha memoria colpì la lanterna il 5 aprile 1492 e ispirò un sermone che Gerolamo Savonarola tenne circa tre anni dopo, il 13 gennaio 1495: tanto grande era stato lo spavento, ingenti i danni e sommo il timore che il domenicano ferrarese vide nell’evento l’ira di Dio: «Ecce gladius Domini super terram cito et velociter».
Dal 1492, e fin dopo la realizzazione del parafulmine, posto in opera nel 1859, ben 27 sono state le saette che hanno colpito la lanterna nel corso di circa quattrocento anni (con la media di una ogni quindici anni). Quella che le procurò maggiori danni (e in relazione alla quale l’archivio dell’Opera conserva un gran numero di documenti) la percosse, appunto, nella notte del 27 gennaio 1601. Alessandro Allori ha lasciato un eccezionale documento grafico della lanterna orribilmente squarciata e Francesco Bocchi, che ne ha scritto in due epistole latine del 1604, ha testimoniato delle lacrime dei Fiorentini nel vederla deturpata, tanto era (ed è) forte l’attaccamento della città del Fiore a quel bianco tempietto che aggiunge “dignitas” (Bocchi) alla cupola, “sacra testudo”.