Opera Magazine
13/02/2018
Brunelleschi e la genesi di un capolavoro
Un viaggio in tre tappe per capire l'influenza della Cupola di Brunelleschi: dalla sua genesi concettuale ai modelli di riferimento, fino agli epigoni del capolavoro fiorentino sparsi nel mondo.
La cupola di Santa Maria del Fiore è opera capitale di tutta la Storia dell’Arte e – più ampiamente – dell’intera cultura occidentale. Si erge a coprire un diametro di 45,50 metri, innalzandosi su un tamburo collocato a 54 metri dal suolo e protraendosi fino a 116 metri di altezza, comprensivi dei 22 metri della lanterna sommitale. Al momento della sua conclusione era la cupola più grande del mondo (svettante sulla chiesa più grande della cristianità) e tutt’oggi conserva il primato della più grande volta in laterizio del pianeta, per un peso complessivo stimato attorno alle 37.000 tonnellate.
Questa montagna geometricamente perfetta di laterizi, calce e marmo, fu progettata dal geniale architetto fiorentino Filippo Brunelleschi, e costruita tra il 1420 e il 1436, è un capolavoro che raccoglie in sé il meglio del patrimonio ingegneristico, architettonico e culturale in senso ampio dei secoli precedenti - dall’antichità al medioevo - e al tempo stesso lo supera in modo netto, evidente, segnando uno spartiacque epocale.
Per la Cupola di Santa Maria del Fiore si parla di opera capitale del Rinascimento, nel significato che questa parola ha di “rinascita” e riscoperta della cultura classica greco-romana al principio del XV secolo; ma quest’architettura non solo si ispira e si riallaccia alla grandezza del mondo antico pagano e paleocristiano, ma si protende anche nel futuro, divenendo modello per l’edilizia cristiana dei secoli successivi. La cupola, infatti, dal punto di vista tecnico, non solo eguaglia, ma supera per dimensioni e complessità i monumenti dell’antichità che le furono, in parte, modelli, a partire dal suo confronto più famoso e diretto: il Pantheon di Roma, il più maestoso edificio a pianta centrale con copertura a cupola della Roma imperiale.
L'interno del Pantheon.
In una sua famosa lettera Brunelleschi stesso dichiarò che la sua speranza di riuscita in questo “sorpasso” sul mondo antico classico si fondava sulla consapevolezza della destinazione cristiana del monumento: se l’intelligenza degli architetti del Pantheon era riuscita in un monumento destinato a un culto falso – questa fu l’equazione di Brunelleschi - a maggior ragione sarebbe riuscita un tempio dedicato alla Madre di Dio, perché la stessa Sapienza divina sarebbe venuta in soccorso.
Ed in effetti il progetto della cupola di Santa Maria del Fiore da un punto di vista ingegneristico, non si fonda solo sulla conoscenza delle tecniche architettoniche dell’antichità classica pagana, che Brunelleschi poté studiare a fondo nel suo periodo di formazione a Roma (1404-1409), ma ha un “patrimonio genetico” derivato da tanta architettura successiva, cristiana, dai primi secoli fino al romanico fiorentino (XI-XII secolo), e che si allarga alla conoscenza indiretta del mondo bizantino se non, addirittura, – secondo alcuni studiosi – di quello medio orientale, islamico e persiano. Così, per esempio, dal Pantheon certo Brunelleschi derivò la convinzione che fosse possibile coprire a volta un diametro di 45 metri, e anche l’idea di una sua conclusione con apertura a oculo, ma se la cupola romana è emisferica e costituita da un unico blocco di calcestruzzo, la cupola di Brunelleschi è ogivale e doppia, concepita per spicchi su un tamburo ottagonale.
Una struttura, questa, che l’architetto poté studiare, piuttosto che tra le rovine di Roma, nel ben più vicino Battistero di Firenze; e similmente, la cupola di Santa Maria del Fiore non carica il peso sull’intero diametro del tamburo, come il Pantheon, ma sui punti di scarico angolari dei costoloni, come accade piuttosto nell’architettura gotica e come anche si vede nelle cupole bizantine, quali quella celeberrima di Santa Sofia a Costantinopoli (537 d.C.). E se Brunelleschi dedusse probabilmente dall’osservazione dei lacunari del Pantheon l’idea che fosse possibile costruire ponteggi aerei, le intuizioni per le macchine (argani, ingranaggi, pesi e contrappesi) per riuscire in quest’opera di muratura, senza l’uso di centine, gli vennero – probabilmente - dalle sue conoscenze di meccanica degli orologi, sconosciuta al mondo antico e di cui lui, dicono i biografi, era appassionato.
Così la famosa tecnica a “spina di pesce” con cui Brunelleschi dispose i milioni di mattoni della cupola interna, derivava - è vero - dalla muraria romana, ma se gli antichi l’avevano usata solo su superfici a due dimensioni e con fine meramente decorativo, Brunelleschi l’evolvette, sfruttandone le straordinarie possibilità statiche, che permisero l’erezione di una cupola che fu autoportante per tutto il tempo della sua costruzione.
Non sappiamo e – forse – non sapremo mai quali furono le “fonti” di Brunelleschi, se non quelle accertate romane e fiorentine, ma non si può escludere che abbia avuto notizia di tante altre “cupole” cui accenneremo nei prossimi articoli, che gli erano lontane nello spazio o nel tempo.
Nei prossimi due appuntamenti ci muoveremo a ritroso a cercare i suoi “antenati”, diretti e indiretti; poi ci rivolgeremo al “futuro”, ovvero a quelle architetture che sono derivazioni del capolavoro brunelleschiano, più o meno evidenti, dall’immediato Quattrocento italiano dei Sangallo e di Francesco di Giorgio Martini fino alla modernità. Alla ricerca della sua influenza e del suo fascino, sparsi in ogni angolo del mondo.