Opera Magazine
18/07/2017
18 luglio 1334: Giotto dona a Firenze un capolavoro senza eguali
Perché il 18 luglio è una data da ricordare nella storia di Firenze: storia di Giotto e dell'inizio dei lavori del suo "testamento in pietra e marmo", il Campanile.
Nel terzo decennio del XIV secolo Firenze stava vivendo l’apogeo del suo potere economico e della sua espansione demografica; ciononostante la nuova cattedrale era ancora agli albori della sua costruzione: il primo capomastro dell’Opera, Arnolfo di Cambio, ne aveva lasciata incompiuta la facciata e, all’interno del tracciato delle nuove mura perimetrali, persisteva la più antica e piccola Santa Reparata.
Sul lato di piazza dei Visdomini ancora risuonavano le campane dell’antica torre campanaria, che era ormai sottomisura rispetto al nuovo circuito delle immense mura arnolfiane: doveva essere chiara fin dal principio del cantiere la necessità di un nuovo campanile di dimensioni gigantesche e dalla straordinaria opulenza decorativa.
In tal senso, al cantiere che procedeva stancamente, diede nuovo impulso nel 1331 l’iniziativa del Comune di affidare l'Opera di Santa Maria del Fiore al patronato dell'Arte della Lana e di varare un nuovo sistema di finanziamento basato sulla regolare corresponsione all'Opera di quote fisse sulle entrate pubbliche. I ricchi e potenti mercanti, solo tre anni dopo quest’incarico, chiamarono come nuovo capomastro il più importante artista del tempo: Giotto di Bondone.
Siamo nell’aprile del 1334 e nei documenti superstiti, che vedono affidargli non solo il cantiere della cattedrale ma anche delle mura e di altre opere pubbliche, il nome di Giotto viene circondato di parole di encomio ed affetto: Firenze era fiera di avere nuovamente al proprio servizio questo talentuoso “figlio”, che già era celebre nel mondo.
Dall’altra parte, lo stesso Giotto, ormai anziano - aveva 67 anni - dovette accettare l’incarico nel senso di un coronamento della propria carriera. Fu quindi - forse su sua iniziativa, subito accolta con entusiasmo dalla nuova direzione della gilda dei Produttori di lana - che si decise di avviare la costruzione della torre campanaria. Questa convergenza di intenti sul creare il nuovo edificio è manifesta nei documenti: appena tre mesi dopo l’elezione di Giotto a capomastro dell’Opera, il 18 luglio del 1334 si avviarono i lavori per le fondamenta della torre.
Attualmente possiamo rimanere meravigliati dal considerare che fino a questo momento Giotto avesse fatto grande il suo nome di artista in qualità di solo pittore, e che nonostante non avesse mai avuto esperienza di cantieri di architettura, gliene fosse affidato uno tanto prestigioso. Ma al tempo non esisteva questa settorializzazione nelle qualifiche degli artisti e chi, come Giotto, era dotato di “mano” (disegno) e “ingegno” (intelligenza e know-how), poteva applicarsi indifferentemente in tutte le cosiddette Arti maggiori.
Il progetto del maestro, che fu poi modificato in corso d’opera dai capomastri che si succedettero al cantiere (Andrea Pisano e Francesco Talenti), ma di cui ci rimane memoria in un grande disegno colorato su pergamena oggi al Museo dell’Opera della Metropolitana di Siena, prevedeva un edificio a pianta quadrangolare, che svettasse sullo skyline cittadino a circa 115 metri d’altezza, concluso negli ultimi 30 da una gigantesca guglia piramidale (che fu poi abolita, interrompendo con una balaustra l’altezza agli 85 metri attuali).
Impressionante è la ricchezza delle decorazioni, ineguagliate in tutto l’occidente cristiano: intarsi marmorei che, per usare le parole del direttore Verdon ne fanno una “torre di David: un poema in marmo bianco di Carrara, rosso di San Giusto a Monte Rantali e verde del Monte Ferrato”. “Sono i colori della Parte Guelfa, il “partito di governo”, e anche i colori in cui Dante aveva immaginato Beatrice”, i colori che erano dello splendente oriente bizantino e islamico, ma anche dell’interno del Pantheon di Roma. A ciò si aggiungeranno i rilievi scultorei dei primi due ordini, e quindi le statue nelle nicchie del secondo dado.
Giotto non vedrà mai completato il suo testamento di pietra: morì appena tre anni dopo, quando solo il primo livello era stato completato. Ma alla sua conclusione, nel 1359, questo monumentale scrigno di marmo superava in altezza e splendore ogni altro edificio cittadino, e si qualificava come vero ombelico di Firenze (sarà così fino al completamento della cupola).
Per merito di questa impresa, il nome dell'artista si è sposato a quello della torre campanaria, e la sua fama permarrà finché durerà questo gigante di marmo e pietra: quasi mai si sente dire “Campanile di Santa Maria del Fiore”, ma da sette secoli, per i fiorentini e i milioni di visitatori che ogni anno lo ammirano, semplicemente è e rimarrà il “Campanile di Giotto”.