Opera Magazine
03/10/2014
Vent'anni di tutela, gestione e valorizzazione della memoria
Come si conserva il patrimonio culturale e documentale di sette secoli di storia? Ne parliamo con Lorenzo Fabbri che dal 3 ottobre 1994 è archivista dell'Opera di Santa Maria del Fiore.
Quando nasce l’esigenza di conservare i documenti dell’Opera di Santa Maria del Fiore e a quale scopo, ovvero quando nasce la volontà di creare un Archivio Storico di questa istituzione?
Si tratta in realtà di due cose diverse. Un concetto di archivio storico, ovvero di una conservazione ordinata del patrimonio documentario più antico, distinto da quello di uso corrente, si affaccia solo nel XVII secolo, più precisamente nel 1628, quando i responsabili dell’Opera di S. Maria del Fiore decidono di riservare uno spazio proprio alle carte non più utili al disbrigo degli affari, ma ritenute comunque degne di essere preservate come fonti per la storia dell’ente e come testimonianza dei suoi diritti. Da quel momento l’archivio storico si ritaglia una propria identità all’interno dell’Opera.
Se invece parliamo della cura dedicata alla conservazione dei documenti, questa si sviluppa in tempi molto più precoci, come dimostra il fatto che i registri delle deliberazioni degli Operai, giunti fino a noi, iniziano intorno alla metà del XIV secolo e proseguono con poche lacune. Certo, si nota una gerarchia nelle scelte conservative dell’Opera, che si riflette nella cronologia stessa delle serie: così se le fonti normative e deliberative risalgono, come detto, al Trecento, quelle contabili prendono avvio nei decenni centrali del XV secolo, mentre per i primi carteggi occorre attendere il ‘500.
Come è strutturato e cosa raccoglie l’Archivio Storico?
Dal 1628 in poi l’archivio dell’Opera è stato oggetto di numerosi interventi di riordino e di inventariazione, purtroppo accompagnati in alcuni casi da sciagurate operazioni di scarto. Fu intorno alla metà dell’Ottocento, grazie ad archivisti come Galgano Gargani e soprattutto Cesare Guasti, che si giunse ad un ordinamento stabile, che, in linea di massima, resta valido ancora oggi.
Il patrimonio documentario è ripartito in tre grandi sezioni . Oltre all’archivio dell’Opera propriamente detto vi sono infatti l’archivio delle fedi di battesimo e l’archivio musicale.
L’archivio dell’Opera rappresenta la memoria storica della fabbriceria, documentando senza soluzione di continuità le vicende costruttive della cattedrale fiorentina oltre alle innumerevoli attività esercitate dall’Opera del Duomo nel corso della sua lunga storia.
La sezione dei battesimi, originariamente appartenente all’Opera di San Giovanni, pervenne all’Opera del Duomo nel 1777, quando si realizzò la fusione delle due fabbricerie. Vi si conservano i preziosi registri dei battezzati al fonte cittadino di San Giovanni dall’anno 1450 al 1900, la cui importanza è facilmente intuibile se si pensa che a Firenze fino ai primi decenni del XX secolo ci si battezzava solo in Battistero.
Infine l’archivio musicale, formatosi per servire la cappella musicale del Duomo. Spiccano i grandi codici corali del XIV, del XV e, soprattutto, del XVI secolo, impreziositi dalla mano dei grandi miniatori fiorentini del tempo. Non meno importanti per la storia della musica sono i volumi di polifonia, contenenti composizioni liturgiche prodotte per S. Maria del Fiore fra ‘500 e ‘700.
La tua formazione ha sicuramente influenzato le attività, le iniziative e l’indirizzo dato all’Archivio. Come è cambiata la fruizione del patrimonio documentario in questi ultimi vent'anni?
Malgrado un diploma in paleografia, diplomatica e archivistica conseguito all’Archivio di Stato di Firenze, la mia formazione si è concentrata sulla storia medievale, ambito disciplinare in cui mi sono laureato e ho ottenuto il dottorato di ricerca. Prima di essere assunto all’Opera del Duomo avevo già frequentato per diversi anni gli archivi in qualità di ricercatore. Il passaggio dall’altra parte della barricata ha rappresentato una bella sfida, ma credo che quella esperienza di utente delle sale di studio abbia avuto benefici effetti sul mio approccio alla professione di archivista, rendendomi più sensibile alle problematiche della ricerca.
Nascono anche da qui le risorse elettroniche realizzate dall’archivio negli ultimi venti anni con lo scopo di favorire la consultazione online di alcune serie importanti (i registri battesimali e i codici corali) o di rendere disponibili raffinati strumenti di ricerca, come l’edizione digitale Anni della Cupola, ideata e diretta da Margaret Haines. Lo stesso vale per le pubblicazioni della collana «Archivi di Santa Maria del Fiore» (edita da Olschki), destinata ad ospitare studi basati sul nostro patrimonio documentario, o per i convegni, come quello recente dedicato alla figura di Cesare Guasti. A distanza di venti anni resto convinto che l’archivista non sia chiamato soltanto alla buona tenuta della documentazione, ma anche alla sua valorizzazione tramite azioni che favoriscano e sollecitino la conoscenza storica. Solo così le tracce del passato che gli sono state affidate potranno trasformarsi in testimonianza viva degli atti e dei pensieri di coloro che ci hanno preceduto.