Opera Magazine
16/11/2020
Michelangelo e la Cattedrale di Firenze: dal David alla Pietà alla Cupola
Pochi sanno che Michelangelo Buonarroti scolpì il suo David, la statua più famosa e perfetta di tutti i tempi, per la Cattedrale di Santa Maria del Fiore.
Pochi sanno che Michelangelo Buonarroti scolpì il suo David, la statua più famosa e perfetta di tutti i tempi, per la Cattedrale di Santa Maria del Fiore.
Dalla metà del Quattrocento un gigantesco blocco di marmo bianco giaceva nei depositi dell’Opera di Santa Maria del Fiore. Agostino di Duccio, un allievo di Donatello, l’aveva acquistato e aveva cominciato a scolpirlo per farne un colossale Re David da collocare sui contrafforti esterni della cattedrale, ma aveva poi perso la commissione e il grande marmo, appena sbozzato in forma di un uomo eretto, rimase incompiuto. Anche un altro scultore, Antonio Rossellino, provò a completare la scultura, ma senza riuscirci. A questo marmo fu dato anche un soprannome: il gigante…un gigante fragile, perché pare il marmo fosse stato rovinato dall’acqua piovana. Michelangelo, che nel 1501 aveva appena 26 anni, se ne innamorò e ottenne di poterlo completare. Lo scolpì in quei cortili di proprietà dell’Opera dove oggi si trova il Museo dell’Opera del Duomo. Che stupore doveva essere vedere il genio che lavorava quel colosso!
E il suo lavoro fu un vero miracolo: nessuno dai tempi antichi aveva creato una scultura così grande in un unico blocco di marmo e questo marmo per di più era fragile e Agostino di Duccio l’aveva cominciato a scolpire in modo maldestro. Michelangelo riuscì nell’impresa e nel 1504 il David era finito. Fu tale la meraviglia suscitata da questo capolavoro assoluto che si decise che meritava una collocazione più visibile. Un comitato di esperti, composto dai massimi artisti del tempo, tra cui Leonardo da Vinci, si riunì per decidere dove posizionare il David e gli atti di quella riunione sono conservati nell’Archivio dell’Opera. Alla fine si decise di posizionarlo di fronte a Palazzo “Vecchio”, dove rimase fino al 1873, quando fu trasferito nella sua sede attuale: la Galleria dell’Accademia di Firenze.
Ma il rapporto tra Michelangelo e la Cattedrale non si esaurisce qui: nel 1503, quando il David era quasi completato ed era evidente che sarebbe stato un capolavoro, l’Opera affidò a Michelangelo una commissione prestigiosissima: scolpire le statue di 12 apostoli più grandi del naturale, da collocare in 12 nicchie nei pilastri sotto la cupola: immaginatevi che meraviglia sarebbe stata questo ciclo di statue ... L’Opera aveva chiesto a Michelangelo di scolpirne una l’anno, ma l’artista, divenuto ormai celebre, aveva preso molti impegni e nel 1505 rescisse il contratto e partì per Roma. Lasciò a Firenze solo il grande San Matteo (alto più di 2 metri!) incompleto. La commissione fu allora affidata, nei decenni seguenti, ad altre squadre di valenti scultori e oggi si possono ammirare in Duomo i giganteschi apostoli. Anche se non-finito il San Matteo è un capolavoro: la figura dell’anziano ma possente evangelista, con la barba, la tunica e il vangelo stretto nella mano sinistra, sembra contorcersi per liberarsi del marmo grezzo che ancora lo imprigiona. Il marmo rimase presso l’Opera del Duomo per tre secoli e poi, nel 1874 fu trasferito alla Galleria dell’Accademia, allora “Museo di Michelangelo” insieme al David e ai famosi Prigioni (quattro figure non-finite che erano destinate alla Tomba di papa Giulio II). Il Museo dell’Opera, che sarebbe stato inaugurato pochi anni dopo, nel 1891, se fosse già esistito, certamente non avrebbe lasciato andar via quest’opera e oggi la si potrebbe ammirare in una delle sue sale.
Ma per fortuna l’Opera di Santa Maria del Fiore possiede comunque uno straordinario capolavoro di Michelangelo: la sua seconda Pietà. Il destino è curioso: nessuna delle statue che Michelangelo scolpì per la Cattedrale sono oggi conservate nei monumenti dell’Opera, mentre la Pietà, che egli realizzò a Roma, per la propria tomba, destinata a stare in una cappella di qualche chiesa romana, per vicende davvero complesse, alla fine è giunta da noi… (trovate la sua storia nel post del 1 ottobre “12 cose che forse non sai della Pietà di Michelangelo del Duomo di Firenze” che potete leggere qui).
Come sicuramente già saprete la Porta del Battistero di Ghiberti con le Storie dell’Antico testamento oggi è nota proprio col nome che Michelangelo le diede: “del Paradiso”; e forse sapete anche che a Michelangelo si deve anche l’interruzione dei lavori al ballatoio della cupola: il Buonarroti avrebbe definito la porzione realizzata da Baccio d’Agnolo una “gabbia per i grilli” (ciò per dire che la loggia era sotto-proporzionata rispetto alle dimensioni della cupola e del tamburo…) e tanto bastò a far arrestare i lavori per sempre. Nel Museo si conserva un modello ligneo del ballatoio che gli studiosi attribuiscono a Michelangelo e che infatti ha un carattere maggiormente plastico e monumentale.
Ma il debito maggiore che Michelangelo ha con la cattedrale di Firenze riguarda la cupola del Brunelleschi: senza di essa Michelangelo non avrebbe mai potuto progettare quella di San Pietro. Quella di San Pietro è più alta, ma quella di Brunelleschi è più ampia; quella romana è a base circolare mentre quella di Firenze è ottagonale. Michelangelo per costruire quella romana dovette riprendere l’espediente tecnico di Brunelleschi e cioè costruire una doppia cupola, sormontata da una lanterna e per realizzarla chiese ai suoi parenti fiorentini di inviargli a Roma studi e osservazioni di quella di Santa Maria del Fiore.
Infine, non ci si deve dimenticare dell’importanza che ebbe per Michelangelo lo studio delle sculture quattrocentesche del Duomo e del Campanile, soprattutto quelle di Donatello; il suo Mosè per la tomba di Giulio II, in San Pietro in Vincoli, richiama da vicino il San Giovanni evangelista di Donatello (ora al Museo) e per il David si ispirò in parte all’Isaia di Nanni di Banco in Duomo. E chissà se quando affrescò il suo Cristo giudice nel giudizio Universale della Cappella Sistina, che con una mano respinge i dannati all’inferno e con l’altra accoglie in cielo i beati, non abbia ripensato alla stessa figura rappresentata nei mosaici del Battistero fiorentino trecento anni prima…
Michelangelo volle trascorrere gli ultimi decenni della sua vita a Roma, lontano da Firenze, per molte ragioni, ma rimase sempre fiorentino nel cuore e nel suo genio artistico e possiamo dire in conclusione che i suoi rapporti con la Cattedrale, che è il cuore di Firenze, ne sono la prova!