Opera Magazine
10/09/2018
La grande arte tessile nella storia dell'Opera del Duomo
Breve itinerario alla scoperta dell'arte tessile nel complesso monumentale di Piazza del Duomo: da Andrea Pisano al Pollaiolo fino ad Amos Cassioli, un fil rouge che si rinnova nel corso dei secoli.
"Non v'è Arte dove non v'è stile." (O. Wilde)
L’Italia è tutt’oggi uno dei maggiori centri della moda nel mondo, e Firenze è tra le sue capitali, avendo dato i natali ad alcuni tra i maggiori stilisti e case di moda del passato e del presente. Possiamo affermare che le radici di questa cultura estetica sono antiche: fin dal Medioevo l’arte tessile è stata amatissima in tutta Europa, nei suoi mutamenti di forme e decorazioni - che, per gli indumenti sacerdotali, sono dettati anche dalla simbologia liturgica; e uno dei centri più importanti di questa industria era Firenze, la cui economia nei secoli d’oro (XIII-XVI secolo) si sosteneva appunto sulla produzione e sul commercio dei tessuti; ragion per cui sono giunte a noi straordinarie testimonianze iconografiche e materiali di arte tessile, la quale ha talvolta visto nel corso della storia grandi artisti prestati al suo servizio.
Importanti e numerose sono specialmente le opere tessili conservate nel complesso della Cattedrale e del Battistero fiorentino, giacché i due templi erano patrocinati, l’uno dall’Arte dei produttori di lana, e l’altro dall’antica Arte di Calimala, il cui simbolo, onnipresente nelle opere del complesso dell’Opera, vede significativamente un’aquila che ghermisce un torsello di stoffe ripiegate.
Un sintetico excursus di queste memorie superstiti potrebbe procedere proprio da una delle opere più antiche: i “tappeti” quadrangolari a intarsi marmorei del pavimento del Battistero, le cui decorazioni a motivi geometrici, nodi, ruote e simboli zoomorfi, imitano quelle delle stoffe orientali commerciate e imitate dai signori di Calimala, suoi committenti.
Nel medioevo più tardo, con l’affermarsi della ricca borghesia mercantile, tutte le cosiddette “arti meccaniche” acquisirono maggior dignità, e tra queste anche l’arte del telaio. Infatti, una delle formelle per il Campanile di Giotto celebrative appunto delle “Arti” (A. Pisano, 1348-50), raffigura proprio la “Tessitura”, immaginata come una donna impegnata a un telaio dettagliatamente rappresentato. Il significato teologico era abbastanza esplicito: tutte le attività umane, anche la tessitura, contengono in sé una scintilla della Sapienza divina che le ispira e le nobilita.
Trovano quindi spazio in altre formelle della serie descrizioni di abiti del tempo: tipicamente trecenteschi quelli indossati dai “pazienti” del farmacista nel rilievo celebrativo della sua scienza; o del Quattrocento, come le gonnelle e i farsetti degli studenti e la tunica talare e il berretto del loro docente, nella formella della “Grammatica” di Luca della Robbia (1437-39).
Straordinaria per la sua ricchezza di gusto tardogotico è la sontuosa veste indossata da santa Caterina d’Alessandria nell'omonima Pala (Giovanni del Biondo e Giovanni Toscani, 1378-1407, "Sala della Maddalena”): si suppone di seta rossa, broccata d’oro e foderata di pelliccia di vaio, stagliata sul fondo di una cortina blu, anche questa broccata in oro; mentre i tre devoti ai suoi piedi, hanno abiti che ne rappresentano l’alto rango sociale, ma assai più sobri. E simile, sulla stessa parete, a fianco, si ammira in una tavola a fondo oro (Bernardo Daddi, 1345-50) la medesima santa, che la leggenda vuole di alto lignaggio, vestita di un fine abito rosa con ricami dorati, contrapposta alla severa ma ricca veste del devoto ai suoi piedi.
Nella tavola col Sant’Ivo tra devoti (1470-80, attribuita a Stefano Rosselli, Sala delle Navate) il santo è invece raffigurato indossare la tipica toga forense del tempo, mentre il supplice alla sua sinistra esibisce il caratteristico copricapo quattrocentesco detto “capperone”: un ibrido tra un berretto e un turbante.
Ancor più significative nel Museo sono le testimonianze materiali di arte tessile che, come è naturale che sia in questo contesto, sono per la maggior parte paramenti liturgici: di varie forme, colori, materie e tecniche, databili a diverse epoche. Se ne vedono straordinari esempi nelle sale del "Coro bandinelliano” e “dei paramenti”: il più importante è il celeberrimo Parato di San Giovanni, compiuto tra il 1466 e il 1488 per i canonici del Battistero, su disegno della poliedrica bottega di Piero del Pollaiolo.
Si tratta, forse, del più importante tessuto artistico superstite del Rinascimento fiorentino: ne sopravvivono esposti nelle vetrine della Sala del Tesoro i 27 pannelli che abbellivano la dalmatica, la tunicella, la pianeta e il piviale componenti il parato, in sete policrome e filo d’oro, istoriato ciascuno con una scena della vita del Battista.
Ma fra i molti pezzi sopravvissuti ai secoli merita menzione anche il Parato del cardinale Odoardo Farnese, composto da un paliotto e da una pianeta, decorati da figure angeliche e girari dorate, eseguiti su disegno dal grande Annibale Carracci alla fine del Cinquecento, e proveniente dall’Eremo di Camaldoli.
E non sfuggiranno all’osservatore attento, nella medesima Sala del Tesoro, un ricco velo di calice ricamato, due pannelli istoriati in sete policrome e filo d’oro con l’immagine del Cristo risorto, ed eseguiti su disegni del Cosci, nel XVI secolo, nonché un grande e ottimamente conservato rotolo di stoffa, opera di tessitori lucchesi del XVI secolo, in seta broccata rosso e oro, elaborata con motivi fitomorfi, tra i quali alcuni tralci di vite con grappoli d'uva che corrono nel margine inferiore.
Infine, a chiudere idealmente e cronologicamente questo percorso originale, inseriamo un curioso esempio di fantastica rievocazione neogotica dei costumi del Due-Trecento: il cartone di Amos Cassioli per una porta della Cattedrale del 1879, raffigurante i fondatori degli Istituti di Carità fiorentini.