Opera Magazine
31/07/2018
Scoprendo Leonardo: le tracce di da Vinci nell'Opera di Santa Maria del Fiore
Come uno dei geni più importanti della storia ha lasciato tracce del suo ingegno: Leonardo da Vinci e la sua presenza nel complesso monumentale di Piazza del Duomo.
Fin dalla sua fondazione, nel 1296, l’Opera di Santa Maria del Fiore si è servita ed ha accolto tra i maggiori ingegni italiani e stranieri nel campo della scienza, della letteratura e delle arti in senso lato.
Gli artisti che prestarono il loro talento alla costruzione e alla decorazione dei suoi monumenti furono tra i maggiori che la storia ricordi, soprattutto nel periodo d’oro dell’arte toscana, tra il XIII e il XVI secolo: basterebbe citarne alcuni come Brunelleschi, Ghiberti, Donatello, Paolo Uccello, Andrea del Castagno, Pollaiolo, Verrocchio, Michelangelo, Jacopo Sansovino, Vasari. In quest’elenco strabiliante di protagonisti di quel tempo chiamato Rinascimento si dovrebbe aggiungere un nome eccellente, la cui presenza è tangente e adombrata in certi eventi e opere afferenti al complesso della Cattedrale e del Battistero: Leonardo da Vinci.
Si deve innanzitutto considerare che il genio di Leonardo fu di natura eclettica e che estese i suoi interessi a tutte le arti: dalla pittura alla scultura, all’architettura e oltre, anche all’ingegneria meccanica, civile, militare, robotica e idraulica (sono celeberrime e profetiche le sue invenzioni), nonché alle scienze naturali in senso lato, dall’anatomia al moto degli elementi, alla zoologia, alla botanica, fino alla musica e alla culinaria. Perciò, benché Leonardo avesse mantenuto un rapporto di amore e odio con la sua Firenze, che lo vide a Milano per lunghi periodi e poi esule alla corte di Francia, alla luce della sua straordinaria poliedricità si può percepire l’ombra del genio leonardiano serpeggiare tra le forme di alcuni capolavori appartenenti al complesso dell’Opera del Duomo, e nelle anse della sua storia affiorano i segni di questo rapporto tra il maestro, l’Opera di S. Maria del Fiore e quella del Battistero di San Giovanni.
Sappiamo dalle fonti che Leonardo stette in gioventù a bottega da Verrocchio per circa quattro anni, dal 1469 al 1473-74 circa, ma, in questa prima fase, dovette interessarsi anche agli studi anatomici dei Pollaiolo. Queste due importantissime botteghe erano specializzate in una vasta gamma di arti, dalla pittura all’arte tessile (nel Museo dell'Opera, dei Pollaiolo, è conservato il Parato di San Giovanni) fino all’oreficeria e alla scultura in bronzo e terracotta. Fu in quest’ultimo campo che Leonardo dovette ricevere da Verrocchio le lezioni più importanti, e benché ad oggi nessuna statua attribuibile a lui sia stata ritrovata, abbiamo notizia di alcune sue opere di scultura. Lo immaginiamo, senza timore di scostarci troppo dal vero, osservare e - forse – collaborare col maestro al pannello raffigurante la Decollazione di San Giovanni battista per il lato destro dell’Altare d’argento (già in Battistero, ora in Museo).
Si potrebbe riconoscere qualcosa del suo stile nelle figure dei due sgherri alle spalle del santo, che paiono fondersi con lo spazio, emergendo dal fondo, così come nei volti di violenza ferina dei soldati sulla destra, antenati prossimi dei cavalieri della perduta (ma nota da studi preparatori e repliche) Battaglia di Anghiari. Nel 2017 il Museo dell’Opera ha ospitato la terracotta originale di questo pannello, e nella freschezza del modellato si sono potuti ancor meglio apprezzare questi elementi stilistici del bassorilievo.
A Firenze Leonardo si legò a un artista più giovane di quasi una generazione, anch’egli allievo del Verrocchio, ovvero quel Giovan Francesco Rustici che nel primo decennio del XVI secolo realizzò il gruppo bronzeo della Predica del Battista per il Battistero. Ci dice Vasari che quest’importante opera, oggi conservata nel Museo, fu ideata dal Rustici ma modellata e fusa con il consiglio e l’aiuto di Leonardo stesso, che per tal ragione si prestò di risiedere con il giovane amico in alcune case dei Martelli che dettero loro ospitalità per la realizzazione dell’opera:
“Non volle Giovanfrancesco mentre conduceva di terra quest’opera altri a torno che Lionardo da Vinci, il quale nel fare le forme, armarle di ferri et insomma sempre insino a che non furono gettate le statue, non l’abbandonò mai, onde credono alcuni, ma però non ne sanno altro, che Lionardo vi lavorasse di sua mano, o almeno aiutasse Giovan Francesco col consiglio e buon giudizio suo.”
Non sappiamo quanto Leonardo davvero pose le mani sul modello di questi bronzi, ma la loro eccelsa qualità lascia supporre che il racconto vasariano sia attendibile (e le terrecotte di Giovan Francesco ispirate alla Battaglia di Anghiari di Leonardo sono la riprova di quanto fossero vicini i due artisti). Leonardo aveva acquistato una grande competenza nella fusione del bronzo, non solo in qualità di ex-allievo del Verrocchio, ma anche perché a questo tempo era reduce dalle sue fatiche milanesi per fondere in bronzo il gigantesco monumento equestre a Francesco Sforza (mai realizzato).
La tecnica, quella della fusione in metallo di modelli in terracotta, era poi la favorita da Leonardo e anche stilisticamente il gruppo della Predica ha quel carattere di forte ricerca chiaroscurale tipicamente leonardiana. Le ricerche fisiognomiche dei volti dei tre personaggi mostrano poi le forti caratterizzazioni espressive peculiari del maestro: quello del calvo Levita, ad esempio, ricorda da vicino alcune caricature di Leonardo, nonché i suoi studi preparatori per le teste degli apostoli della sua celebre Ultima cena.
Ma Leonardo s’interessò al Battistero anche in qualità di ingegnere e architetto con un progetto stupefacente che non fu mai realizzato. Anticamente il “bel San Giovanni” era sopraelevato su una scalinata, progressivamente inghiottita dall’innalzarsi del livello del suolo; Vasari ci tramanda che Leonardo progettò di reintrodurre un basamento elevato su quattro gradini e che per far ciò avesse pensato al sollevamento in blocco dell’edificio attraverso l’uso di funi e argani, per poi adagiarlo sulla nuova base a lavoro completato!
Del progetto rimane testimonianza in un disegno del Granacci (Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi), e in due ricostruzioni del San Giovanni pubblicate nei Discorsi di Vincenzo Borghini. Quest’idea, apparentemente “folle” e visionaria anche per l’ingegneria contemporanea, gli fu forse ispirata dalla notizia che nel XV secolo il bolognese Aristotele Fioravanti fosse riuscito a spostare una torre di Bologna conservandola integra.
Ma su questo punto troviamo un’altra correlazione importante tra la storia dell’Opera di S. Maria del Fiore e il genio di Leonardo: derivò certamente molte conoscenze di ingegneria meccanica, per le quali è celebre, dalle macchine inventate da Brunelleschi per innalzare la cupola: gru, leve, viti, ingranaggi, pesi e contrappesi; e un suo studio dell’argano a tre velocità del Brunelleschi, ora all’Ambrosiana, lo comprova. L’occasione per lui di entrare a contatto e studiare le innovazioni del cantiere brunelleschiano si ebbe negli anni di apprendistato col Verrocchio, durante i quali il maestro e la sua bottega ultimarono e posero in opera la grande Palla dorata della Cupola del Duomo (1472), come Leonardo stesso ricorda in due fogli del Codice Atlantico, dove ricopiò la gru girevole usata per il collocamento dell’enorme globo.
Infine, il nome di Leonardo compare in uno dei più importanti documenti conservati nell’Archivio storico dell’Opera: il 25 gennaio 1504 il suo nome compare tra quelli dei partecipanti a una riunione composta da una commissione di esperti chiamati a decidere la collocazione del David di Michelangelo. L’imponente marmo, lavorato dal Buonarroti, infatti, era stato commissionato dall’Opera per destinarlo a uno degli speroni esterni della Cattedrale, ma data l’eccezionale bellezza dell’opera, si pensò subito a una sede ancor più importante.
Con Leonardo, a decidere le sorti del capolavoro, sappiamo che furono convocati anche altri tra i maggiori artisti del tempo presenti a Firenze: Andrea Della Robbia, Piero di Cosimo, Cosimo Rosselli, Sandro Botticelli, Pietro Perugino, Lorenzo di Credi, Lorenzo Della Volpaia, Giuliano e Antonio da Sangallo e Bernardo della Cecca. Alcuni di loro proposero di porre il gigante in piazza davanti alla Cattedrale, altri dove poi sarà di fatto collocato, in piazza Signoria, di fianco alla porta del Palazzo; un terzo “partito”, guidato da Sangallo, considerando la fragilità del marmo della statua, aveva invece suggerito di collocarlo nella Loggia dei Lanzi.
A quest’ultima proposta aderì Leonardo: suggerì di collocarlo sul lato breve della Loggia dentro una nicchia, giustificando l’idea con la necessità di non disturbare le cerimonie pubbliche. Era questa una soluzione che avrebbe alterato la percezione dei valori formali del capolavoro relegandolo inoltre in una posizione defilata. Da ciò si può intuire il clima di rivalità che correva tra i due artisti, derivante dalla loro diversa estetica. Sappiamo che Leonardo non apprezzò il David, per via della sua anatomia eccessivamente possente, e un disegno dello stesso Leonardo, raffigurante la scultura, testimonia ancor oggi l’interesse e insieme la distanza tra l’ideale estetico del maestro di Vinci e quello del più giovane Buonarroti.