Opera Magazine
04/08/2024
Il Giudizio Universale nella Cupola di Brunelleschi
Storia e descrizione di una delle pitture murali più grandi della storia dell’arte
La gigantesca volta della cupola del Brunelleschi è ornata da uno dei più grandi dipinti della storia dell’arte. Raffigura il Giudizio Universale ed è composto da circa 700 figure disposte su 3.600 mq di superficie!!!
Forse già Brunelleschi aveva idea di decorare la sua cupola, con un mosaico o una pittura, ma fu solo nel 1572 che il granduca Cosimo I incaricò l’anziano Giorgio Vasari di dipingerla. Vasari diede avvio al progetto realizzando in appositi grandi ambienti del convento domenicano di Santa Maria Novella i cartoni preparatori. Quindi si accinse a dipingere in affresco i registri sommitali, a 90 metri da terra. Ma due anni dopo, nel 1574 sia lui che il suo committente, il granduca Cosimo, morirono. L’erede al trono, Francesco I de’ Medici, chiamò a completare l’opera un artista urbinate che era già tra i collaboratori di Vasari, Federico Zuccari, il quale dipinto terminò nel 1579, ma conducendolo a secco.
L'immensa opera è articolata secondo un raffinato programma iconografico, elaborato dal teologo, intellettuale di corte e monaco benedettino Vincenzo Borghini. Egli lo concepì in relazione con le decorazioni del sottostante coro marmoreo, opera di Baccio Bandinelli, anch’esso realizzata per desiderio granduca Cosimo nel 1547 e ultimato l’anno stesso di inizio dei lavori alla pittura della cupola. Di mano del Bandinelli, sull'altare troneggiava un Dio padre benedicente e al di sotto, un colossale Cristo morto, alle spalle un Adamo ed Eva con l’albero e il serpente del Peccato universale, mentre intorno al recinto si susseguivano formelle in bassorilievo con figure di personaggi dall'identità incerta, forse patriarchi, profeti e sibille. Quando queste sculture entrarono in dialogo con il Giudizio universale soprastante si dischiuse agli occhi del popolo e del clero un grande racconto sulla Storia dell'Umanità, dal Peccato originale, al Sacrificio di Cristo, fino alla fine del Mondo.
Nel dipinto della cupola, i corpi possenti delle figure riprendevano il Giudizio di Michelangelo nella Cappella Sistina (portato a termine 40 anni prima) ma il modello per l’ordine delle figure furono i mosaici duecenteschi della volta del Battistero: un reticolo di sette vele ordinate in registri, più una vela, quella posta in asse sopra l’altare, riservata alla rappresentazione della parusia di Cristo giudice. Una logica che gli intellettuali e gli artisti fiorentini del Cinquecento ritrovano anche nella Divina Commedia di Dante, che fu un ulteriore stimolo creativo e una fonte iconografica di quest’opera.
Analizziamo allora il Giudizio dall'alto verso il basso. Sulla sommità, ordinati in gruppi di tre, entro una finta architettura trabeata, si riconoscono, identificati con patriarchi e profeti biblici, i ventiquattro vegliardi descritti nell'Apocalisse, che stanno intorno al trono di Dio, che qui diviene simbolicamente la luce che spiove dall’ottagono dell’oculo sommitale. Seguono le sette gerarchie angeliche della tradizione cristiana, cioè Serafini, Cherubini, Troni, Dominazioni, Virtù, Potestà, Principati, Arcangeli, Angeli, ciascuna recante un simbolo della Passione. Al di sotto (qui il lavoro di Vasari si interruppe lasciando il posto a Zuccari), si dispiegano sette famiglie di beati, suddivisi in: popolo di Dio, regnanti cristiani, Dottori della Chiesa, Santi martiri, Apostoli ed Evangelisti, pontefici e vescovi e ordini religiosi. Nella fascia inferiore si trovano gruppi di più difficile lettura. Sono infatti sette triadi di personificazioni rispettivamente delle Virtù cristiane, dei Doni dello Spirito Santo e delle Beatitudini. Infine, nel registro inferiore si dispiegano sette regioni dell'Inferno riservate alla pena per i sette vizi capitali: lussuria, accidia, ira, invidia, gola, avarizia e superbia. In ciascuna un demone di forme zoomorfe tormenta i dannati, mentre nell’ultima, la superbia, troneggia il superbo per eccellenza e re degli inferi: Lucifero, raffigurato come nella Divina commedia di Dante, con tre volti e le ali di pipistrello. L'anticristo è collocato a ovest, significativamente dove tramonta il sole, e, concettualmente, opposto al Cristo giudice.
Lo spicchio est è a sé stante, è il più visibile dalla navata, è in asse con l’altare maggiore ed è riservato a rappresentare il perno teologico di tutto il presbiterio: è l’”ottavo” spicchio, simbolo dell’ottavo giorno, il tempo dell’eternità che avrà inizio alla fine del mondo. Vi è infatti rappresentato il Cristo Giudice, tornato sulle nubi a giudicare l’umanità, e perciò fiancheggiato da un angelo che gli porge la spada con cui dividere i giusti dagli empi. La sua figura è inclusa in un disco luminoso che richiama il passo della Bibbia con la profezia di Malachia circa l’arrivo di un sole di Giustizia, che fu interpretata dai cristiani come allusione al Cristo. Inoltre, la forma circolare e il colore candido di questo elemento richiamano in modo evidente anche l’ostia, che viene consacrata nell’altare sottostante e che, proprio in quegli anni, il Concilio di Trento aveva ribadito essere il vero corpo del Signore. Intorno a Cristo stanno Maria e santi protettori di Firenze, che intercedono per la Chiesa fiorentina in adorazione. Al di sotto, si vedono alcune personificazioni e simboli, che raccontano la fine del mondo e della storia. Un angelo pianta un chiodo in un globo terracqueo: il mondo che ha crocifisso il figlio di Dio ora ne viene vinto. Sotto c’è un vecchio alato con una clessidra rotta: è Saturno, dio pagano del tempo, che ora è finito. Dalla parte opposta, lo scheletro che spezza la falce è la morte, che, sconfitta, abbandona il suo strumento. Al centro, si riconoscono le allegorie della Madre natura che, con i molti seni,ormai avvizziti, con cui ha nutrito le creature viventi, finalmente dorme, circondata dalle quattro stagioni. Al di sopra, in posizione dominante, una figura femminile rappresenta la Chiesa militante, finalmente vittoriosa, che ha dismesso l’armatura e riceve la corona.