Opera Magazine

01/06/2025
La Cattedrale e i suoi eroi
Un viaggio tra arte e memoria nella Cattedrale di Firenze, tra sepolcri e monumenti dedicati alle glorie della città
Sapete che nella Cattedrale di Firenze si trovano le tombe e i monumenti commemorativi di celebri artisti, importanti intellettuali, valorosi guerrieri e grandi teologi? Tra i tanti capolavori d’arte sacra si conserva qui un grande pantheon delle glorie fiorentine.
Le ragioni di questa presenza si scoprono osservando con attenzione la forma della Cattedrale: noterete che la sua pianta è concepita come la fusione di due edifici distinti, e cioè un corpo a pianta centrale — corrispondente alla zona della cupola, con le tre tribune e le quindici cappelle radiali che la circondano — e il grande corpo basilicale a tre navate. Il primo, con i suoi sedici altari, era destinato al culto; la vasta area basilicale, invece, come le antiche basiliche romane, aveva anche una funzione civile, simile a una monumentale piazza coperta. Ecco allora che in quest’area ritroviamo questa serie di monumenti funebri e commemorativi, la maggior parte dei quali dedicati a personaggi estranei alla Chiesa o a questioni di fede.
Cominciamo il nostro tour dalla controfacciata: a destra del portale centrale, in posizione speculare a quello del vescovo d’Orso, capolavoro di Tino di Camaino, c’è uno splendido sarcofago marmoreo su mensoloni in stile gotico fiorentino. Un mistero lo avvolge, giacché non sappiamo a chi appartenga: né immagini né iscrizioni lo adornano, se non per uno stemma dove campeggia un’aquila. L’opera è di raffinata fattura e, secondo alcuni studiosi, contenne le spoglie di Aldobrandino Ottoboni, figura di riferimento del Partito Guelfo fiorentino nel XIII secolo. Il suo corpo, durante le sommosse che seguirono la battaglia di Montaperti (1260), fu trascinato per vituperio per la città o gettato in Arno. Il sarcofago, con pochi resti all’interno, sarebbe stato quindi posto a parete nella nuova Cattedrale nel secolo successivo.
Proseguiamo lungo le pareti della seconda e terza campata della navata sinistra, dove torreggiano i giganteschi monumenti a due capitani di ventura, condottieri che condussero vittoriosamente le armate fiorentine nel Medioevo. Non si tratta di sculture, bensì di monumentali affreschi (trasportati su tela) — alti otto metri e mezzo e larghi più di cinque — realizzati da due importanti maestri del primo Rinascimento, che fingono sarcofagi a parete sormontati da statue equestri.
A destra, Paolo Uccello dipinse nel 1436 il monumento a Giovanni Acuto (nome italianizzato di John Hawkwood), il più celebre condottiero del Trecento italiano, che prestò servizio per i fiorentini e a Firenze morì il 14 marzo 1394, ricevendo gli onori di grandi cerimonie funebri in Cattedrale. L’artista lo ha ritratto in un monumento che sembra bronzeo, dove lo vediamo in una marcia trionfale a cavallo, in armatura, sopra il proprio sarcofago.
Accanto a lui, vent’anni dopo, Andrea del Castagno rese onore al capitano Niccolò Marucci da Tolentino, che era anch’egli al comando delle milizie fiorentine quando morì, nel 1436, e a cui il governo cittadino diede solenne sepoltura in Cattedrale. Come il suo compagno, conduce la sua marcia trionfale senza fine sopra il proprio sarcofago, ma stavolta la pittura finge di essere in marmo.
Ma l’idea dei monumenti funebri ai capitani di ventura sormontati dal ritratto equestre aveva un’origine più antica: nella navata sud della Cattedrale, sopra la Porta del Campanile, si trovava il sepolcro di Piero Farnese, capitano al servizio di Firenze morto nel 1363. Questo era costituito da una cassa marmorea sormontata da una scultura effimera che ritraeva il Farnese in sella a un mulo impennato (una citazione di un fatto di guerra realmente accaduto). Purtroppo, quando fu smontato a metà Ottocento, la scultura si disfece e solo il sarcofago si è conservato ed è oggi nel Museo, dove una riproduzione di un’incisione antica lo ricorda com’era nell’intero.
Sull’altro lato dei cavalieri, quasi speculari, si incontrano altri due monumenti rinascimentali — due cenotafi, in realtà — che fingono in pittura (sono affreschi trasportati su tela) sepolcri di grandi dimensioni in pietra e marmo con il ritratto del defunto giacente sulla sommità: a sinistra quello di un vescovo di Firenze, Pietro Corsini (di Giovanni dal Ponte, del 1422), e a destra quello di fra’ Luigi Marsili, eseguito da Neri di Bicci nel 1434. Il Marsili era stato un importante letterato, tra i padri dell’umanesimo italiano (amico di Petrarca), e aveva ricevuto numerosi incarichi dalla Signoria, che perciò, alla morte, ne decretò la sepoltura in Cattedrale.
Nella quarta campata della navata settentrionale si incontra un’altra opera che celebra un grande fiorentino: Dante Alighieri. Si tratta del celebre dipinto con il ritratto del sommo poeta tra Firenze e i mondi della Divina Commedia, realizzato da Domenico di Michelino su disegno di Alesso Baldovinetti nel 1465. Questa grande tela su tavola (232 x 290 cm), iconica del mondo dantesco, fu commissionata dal governo fiorentino in occasione del bicentenario della nascita del poeta e teologo esule, di cui non si riusciva a riottenere i resti. Proprio lui, che nella sua opera più importante aveva celebrato la Madonna e il suo Fiore — da cui il titolo della Cattedrale — è qui glorificato insieme alla sua città e ai tre regni ultraterreni della sua Commedia.
Scorrendo poi lo sguardo lungo le pareti laterali si ammira una serie di monumenti marmorei composti da busto ritratto entro clipeo e da epigrafe, che costituiscono un ciclo unitario.
A ridosso della porta destra di facciata si trova il più antico: quello a Filippo Brunelleschi, che è sepolto lì sotto. Esso fu commissionato alla sua morte (1446) dall’Opera di Santa Maria del Fiore e realizzato, a spese della famiglia, dal suo figlio adottivo e allievo, Andrea di Lazzaro Cavalcanti, detto "il Buggiano", che lo ritrasse sulla base del ricordo personale e della maschera funebre da lui stesso eseguita (oggi nel Museo). La sottostante elegante epigrafe celebrativa fu composta in latino dal cancelliere umanista Carlo Marsuppini.
Su questo modello compositivo si rifecero i monumenti successivi, di cui due furono realizzati da Benedetto da Maiano, su commissione di Lorenzo il Magnifico verso il 1490. Il primo, proprio accanto a quello di Brunelleschi, è il monumento a Giotto, il grande artista fiorentino che, in qualità di capomastro, fu autore del primo progetto del Campanile e che, nel 1337, fu sepolto in Cattedrale (la sua tomba non è mai stata trovata, ma questo monumento fino al Cinquecento era nella campata sinistra ed era stato collocato in corrispondenza della sua sepoltura). Il suo busto lo ritrae intento a comporre una tavoletta a mosaico con il Volto Santo, mentre l’epitaffio fu composto nientemeno che dal grande umanista Agnolo Poliziano.
Sul lato opposto, si ammira il monumento ad Antonio Squarcialupi, organista della Cattedrale e tra i più importanti musicisti e compositori del Quattrocento. Per questa ragione esso era originariamente collocato in prossimità degli organi, nell’area presbiteriale. Si tratta stavolta di un’opera commemorativa, giacché la sua reale sepoltura è in San Lorenzo, basilica medicea: lo Squarcialupi fu infatti legato per tutta la vita alla famiglia Medici e fu lo stesso Lorenzo il Magnifico a dettare l’iscrizione celebrativa.
Seguono quindi, sulla medesima parete, due monumenti ottocenteschi: ad Arnolfo di Cambio e ad Emilio De Fabris, entrambi architetti: l’uno autore del primo progetto della Cattedrale e dell’incompiuta facciata medievale, l’altro che ne licenziò il completamento cinque secoli dopo, in quanto progettista della definitiva fronte architettonica. Quello ad Arnolfo non è funebre in senso stretto, giacché la posizione del sepolcro del grande artista non ci è nota, e fu realizzato in chiave celebrativa da Aristodemo Costoli nel 1844; lo scultore lo ha immaginato intento a studiare la pianta di Santa Maria del Fiore, disegnata su un foglio davanti a lui.
Il monumento al De Fabris, con cui si chiude il ciclo, fu realizzato nel 1887 da Vincenzo Consani alla morte dell'architetto che, per un soffio, non vide completata la sua opus magnum, la facciata, ma che nondimeno meritò di esservi sepolto a breve distanza. Il Consani concepì il monumento sepolcrale secondo lo schema rinascimentale, ma inserendovi un busto ritratto attualizzato, che mostra il De Fabris connotato da grandi baffi e con gli abiti secondo la moda del tempo.
Ma non finisce qui il nostro viaggio: nella navata destra, a poca distanza dalla porta da cui escono i turisti che hanno visitato la cupola, scorgiamo il monumento funebre a Marsilio Ficino, il celebre filosofo neoplatonico, vissuto nel circolo di Lorenzo il Magnifico e patrono dell’Accademia di Careggi. Nicodemo Ferrucci, nel 1522, lo ha ritratto entro un’edicola, con in mano un grande tomo allusivo alla sua opera, che guarda, come in contemplazione mistica, la luce che spiove dalla cupola.
C’è poi un monumento funebre che tutti vedono ma che nessuno riconosce: collocato al centro del pavimento Cinque-Seicentesco della Cattedrale, nella seconda campata della navata centrale, un’iscrizione entro una doppia banda circolare ci ricorda il nome di Silvestro dei Medici, lontano antenato dei Granduchi, che era stato uno dei protagonisti degli eventi che seguirono il tumulto dei Ciompi del 1378. Il suo sepolcro, già posto alla Porta della Mandorla, più di due secoli dopo fu collocato dai discendenti in questa posizione eminente.
E concludiamo il nostro viaggio citando i monumenti che non sono più in Cattedrale: quello ad Andrea Pisano, scultore e architetto capomastro dell’Opera nel Trecento, la cui sepoltura si trovava a ridosso del coro, ma di cui s’è persa ogni traccia; quello a Don Pedro di Toledo, viceré di Napoli e padre della prima Granduchessa di Toscana, Eleonora, che era costituito da un sarcofago posto sopra la Porta dei Cornacchini, anch’esso perduto; e, infine, il monumento funebre al celebre intellettuale illuminista Giuseppe Bencivenni Pelli, bella e complessa opera in marmo del Carradori del 1808, ordinata dal governo francese nel tempo in cui dominava la Toscana e che, al ritorno dei Lorena, fu smantellata e oggi giace frammentaria dietro l’abside della Basilica di Santa Croce.