Opera Magazine
29/04/2024
Il coro di marmo del Duomo di Firenze
Da Brunelleschi a Bandinelli: la storia, la decorazione scultorea e i significati del recinto di marmo del coro della Cattedrale di Santa Maria del Fiore
In fondo alle navate della Cattedrale, nel centro del presbiterio esattamente al di sotto della grande volta della cupola si trova il grande recinto ottagonale marmoreo del coro. Il recinto comprende l’altare maggiore ed è ornato all’esterno da una celebre serie di specchiature con bassorilievi raffiguranti uomini e donne nudi o vestiti all’antica. Quest'area perimetrata e l’altare al suo interno rappresentano il cuore architettonico e liturgico della Cattedrale, oltre che un esempio di arte del XVI secolo unico nel suo genere e di eccezionale bellezza artistica.
L’altare maggiore e il recinto del coro furono realizzati per volontà del Granduca Cosimo I dei Medici nel 1547-1572 nell’ambito dei lavori di rinnovamento della Cattedrale per aggiornarla al gusto moderno e adattarla al suo nuovo ruolo di teatro per le cerimonie religiose pubbliche della corte. Il progetto fu affidato a Giuliano di Baccio d’Agnolo e allo scultore di fiducia del reggente, Baccio Bandinelli, insieme al suo collaboratore Giovanni Bandini (che da allora prese il nome di Giovanni “dell’Opera”). Come diremo, però, l’aspetto con cui vediamo il recinto e l’altare oggi è il risultato delle trasformazioni operate nel XIX e nel XX secolo. E ancora: quello di Bandinelli non era il primo recinto di coro della Cattedrale, prima ne erano esistiti altri due.
Appena conclusi i lavori alla grande cupola soprastante, in tempo per ospitare il Concilio di Firenze, nel 1439 Filippo Brunelleschi eresse un recinto in legno, che aveva la stessa forma ottagonale di quello bandinelliano, ma era di dimensioni appena inferiori ed era ornato da un colonnato con trabeazione liscia che correva sopra la balaustra: doveva essere qualcosa di semplice e spettacolare insieme! Di questo coro rimane testimonianza nella famosa medaglia coniata da Bertoldo di Giovanni a memoria dell’evento di sangue che ebbe luogo proprio nel coro brunelleschiano, e cioè l’uccisione di Giuliano de Medici e l’attentato a Lorenzo il Magnifico...la famosa “Congiura de’ Pazzi”. Un modello ricostruttivo del coro brunelleschiano è esposto nella sala dedicata alla cupola del nostro Museo.
Ma l’opera di Brunelleschi era provvisoria e pensata per essere sostituita con materiali ben più duraturi del legno. Nel 1519 si pensò di sostituirlo con uno in marmo e l’incarico fu affidato a Giuliano di Baccio d’Agnolo, Nanni d’Unghero e a Domenico Baccelli e appartengono forse a questo momento le otto colonne con splendidi capitelli intagliati conservate nella sala del "Teatro mediceo" del Museo.
Si giunse quindi al coro “granducale”. L’alzata e la mensa, ornati da motivi di bei vasi all’antica e angeli fu completata da Baccio d’Agnolo entro il 1552. Lo arricchiva un importante arredo scultoreo fornito dal Bandinelli e costituito dalle figure gigantesche di un Dio padre benedicente posto sulla sommità, un grande Cristo morto tra angeli dolenti, ai suoi piedi e i progenitori Adamo ed Eva alle spalle. Dopo il Concilio Vaticano II la mensa fu distanziata dal dossale.
Il coro ebbe gestazione più lunga e complessa. Il recinto, anch'esso in marmo bianco fu ornato da specchiature in breccia medicea (che nel programma originario dovevano invece accogliere storie in bassorilievo) e da 88 formelle con figure in bassorilievo d’incerta identificazione (profeti e sibille? Personaggi dell’Antico Testamento? Filosofi?). Quest’ultime sono tra i vertici dell’opera di Bandinelli. Al di sopra, un imponente colonnato sosteneva un grande architrave liscio a cornicione, coronato da una balaustra costituita da balaustri e intervallato al centro dei lati cardinali da grandi arconi a tutto sesto. Lo completava una ghirlanda di lumi che doveva conferire all’intera architettura un effetto scenografico davvero suggestivo. Il programma iconografico è molto elaborato, legato alla liturgia che si svolge al suo interno, al numero otto dei suoi lati e al ciclo statuario del Bandinelli che ne ornava l’altare e il recinto. La forma ottagonale della pianta riecheggia quella dell’intera area presbiteriale e della cupola, che a sua volta riprende il perimetro del Battistero e, come quello, allude all’”Ottavo giorno” (“Octava dies”), ovvero alla domenica eterna che è promessa dalla fede cristiana ai giusti. La fede cristiana insegna che a questa salvezza si accede attraverso il sacrificio di Cristo, ripetuto sulla mensa dell’altare nel Sacramento eucaristico, rappresentato appunto dal colossale Dio Padre del Bandinelli che offriva il Figlio in sacrificio sulla mensa sottostante. Alle spalle, simbolicamente all’opposto di questo cibo di Vita eterna, furono quindi posti i Progenitori ai lati dell’albero del frutto del peccato, cibo di morte e perdizione. In tale ordine di significato le figure in bassorilievo del recinto, se si accetta l’ipotesi che raffigurino personaggi veterotestamentari e sibille, significherebbero coloro hanno annunciato l’era della salvezza senza poterla vedere (sono infatti rivolti verso l’esterno).
Questo discorso iconografico trovò prosecuzione e compimento nelle pitture della cupola soprastante, i cui lavori furono avviati l’anno stesso di inaugurazione del nuovo coro e quando la Chiesa cattolica si era riformata nel Concilio di Trento, riportando al centro della liturgia l’Eucaristia e imponendo nuove regole per l’arte sacra. Il Giudizio universale di Vasari e Federico Zuccari (1572-1579) mostra la Chiesa trionfante che veglia dal cielo sulla Chiesa militante. Il Grande Cristo risorto e giudice della vela est è significativamente in asse sulla verticale con quello morto di Bandinelli e con il calice e l’ostia consacrati sulla mensa dal celebrante. La forma stessa entro cui è incluso nel dipinto, richiama la forma dell’ostia.
Il gusto mutò col passare dei secoli e il granduca di Lorena Leopoldo II operò attraverso i servigi dell’architetto Baccani rilevanti trasformazioni in Cattedrale volte ad alleggerirne e purificarne lo spazio dall’affastellamento di opere e arredi aggiunti tra Cinque e Seicento. Non fu risparmiato il coro: il colonnato fu smontato e venduto, eccetto un arcone, che ora è esposto nella sala delle navate del Museo e così anche furono rimossi 24 dei rilievi del perimetro esterno (ora esposti nella “Sala del Coro” del Museo). Le colossali sculture di Dio Padre benedicente e di Cristo morto sorretto da angeli furono portate a Santa Croce: il primo torreggia nello spazio antistante la Cappella Pazzi, mentra l’altra statua, di meravigliosa fattura, è conservata nel Famedio. L'Adamo e l'Eva, rimossi già nel 1722 per fare spazio alla Pietà Bandini di Michelangelo, sono oggi conservati al Museo del Bargello. Va poi ricordato che le prime versioni sia dei Progenitori che del Dio padre furono respinti dalla committenza , quindi furono mutati e portati altrove. Oggi si possono ammirare nel giardino di Boboli: Adamo ed Eva sono diventati l'Apollo e la Cerere alloggiati nella facciata della Grotta del Buontalenti, mentre il Dio Padre ha preso le sembianze del Giove seduto e fa mostra di sè a breve distanza.