Opera Magazine
07/12/2022
Il monumento funerario del vescovo Antonio D’Orso
Storia e interpretazione di un capolavoro del Trecento di Tino di Camaino
La controfacciata della Cattedrale è un’immensa superficie di pietra ornata da colossali opere d’arte di epoche diverse. Una di queste è il monumento funerario del vescovo di Firenze Antonio D’Orso, capolavoro trecentesco in marmo bianco del maestro senese Tino di Camaino: un’opera originalissima per l’epoca e quasi unica nel suo genere.
Il monumento è collocato a destra del portale centrale, a qualche metro d’altezza e nella sua forma attuale il monumento è un assemblaggio ipotetico di elementi superstiti, a cui si devono aggiungere due angeli reggi-cortina, acquistati dall’Opera di Santa Maria del Fiore nel 2015 e ora esposti nel Museo (Sala delle navate).
Antonio D'Orso, vescovo di Firenze dal 1301 alla sua morte, avvenuta nel 1320, fu sepolto nel sarcofago il 18 luglio 1321 e questo monumento sepolcrale dovette essere stato compiuto intorno al 1322. Del monumento sono state tentate varie ricostruzioni, ma è opinione quasi unanime che un tempo fosse presente una struttura a baldacchino che doveva racchiudere il sarcofago. Nel 1842 l’architetto Baccani lo ricollocò sopra la porta della Mandorla, nella quarta campata della navata sinistra e solo nel 1903, l’architetto Castellucci, ritrovata l'iscrizione di Tino di Camaino in controfacciata, lo riposizionò nella sua posizione originaria
Il monumento funebre si presenta quindi di tre parti sovrapposte.
La parte inferiore è un basamento definito da due archi e retto da tre mensole; nella parte frontale si trova scolpita in bassorilievo una allegoria della morte: essa è raffigurata, al centro, nella forma di un mostro in armatura che cavalca un drago; ha i piedi di leone, tre faccia e quattro braccia; con le due di destra e le due di sinistra tende due archi, con cui sagitta gruppi di figure nelle estremità, tra i quali si riconoscono nobili, re e alti prelati, alcuni già ridotti a scheletri. Al di sopra c’è il sarcofago, a cassa rettangolare, sorretto da tre leoni e decorato nel lato frontale da un bassorilievo rappresentante il Giudizio personale del defunto, nella forma della “Commendatio animae”: Antonio D’Orso è al centro, genuflesso di fronte Cristo, che gli sta davanti, in trono, come giudice. Il presule gli porge infatti un rotolo, ovvero il “Libro della vita”, su cui sono elencati i suoi meriti e i suoi peccati. Lo introduce come avvocata, la Vergine, seguita dalle pie donne. Alle spalle di Cristo, ad aiutarlo nel giudicare o forse ad intercedere, si riconoscono san Pietro con le chiavi e san Paolo con la spada (ovvero i principi della Chiesa di cui il vescovo era pastore) e il Battista, protettore di Firenze, dove D’Orso occupò la cattedra vescovile. La scena è compresa tra due terne di angeli, mentre nei lati si vedono due genietti funerari che piangono sullo stemma della famiglia D’Orso. Vediamo altri due stemmi ai lati della parete: a destra quello Gaetani, per riferimento a papa Bonifacio VIII, nel cui pontificato D’Orso divenne vescovo, e a sinistra quello di Clemente V, al secolo Bertrand de Gout, nel cui tempo Antonio D’Orso condusse gran parte del suo ufficio pastorale.
Infine, nella parte sommitale si ammira dal sotto in su il commovente ritratto del defunto: ancora seduto sulla sua cattedra, in abiti vescovili, con le braccia incociate sui ginocchi e la testa reclinata verso destra; ha gli occhi chiusi e l’espressione serena. I tratti del volto sono molto caratterizzati ed emaciati e sembrano desunti dalla maschera funebre.
Questi originali soggetti iconografici e il programma che li comprende in un discorso unitario fu quasi certamente elaborato da Francesco da Barberino: notaio, poeta ed esecutore testamentario del vescovo D'Orso. Si possono interpretare le tre parti a cominciare dal ritratto del vescovo: l'invenzione assai singolare di raffigurarlo seduto, piuttosto che giacente, è assolutamente innovativa: rimanda all’uso di esporre in cattedrale il corpo dei presuli defunti e richiama forse anche la tradizione secondo cui il vescovo sarebbe spirato durante la celebrazione di un pontificale. Ma su un piano teologico, la figura del defunto che si abbandona al sonno ha un significato legato alla speranza nella resurrezione, per rimando alle parole di Cristo all’episodio evangelico della resurrezione della figlia di Giairo (Marco 5:21-43): "Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme". Le braccia conserte e l’espressione serena del vescovo sembrano alludere alla sua fede nella salvezza dell’anima, cioè al buon esito della sentenza che il Cristo giudice emetterà nel rilievo del sarcofago; e anche all’attesa escatologica, cioè al Giudizio Finale, alla resurrezione del corpo e quindi alla vittoria sul terribile arciere della base.
In basso, incisa nel muro della controfacciata, un’iscrizione celebra l’artefice del monumento:
OPERU(M) DE SENIS NATUS/ EX MAG(IST)RO CAMAINO/ IN HOC SITU FLORENTINO/ TINUS SCULPSIT O(MN)E LAT(US )/ HU(N)C (PRO) PATRE GENITIVO / DELET INCLINARI / UT MAGISTRO ILLO VIVO / NOLIT APPELLARI