Opera Magazine
14/06/2019
Il personale dell'Opera di Santa Maria del Fiore: le origini
Breve ricostruzione storica dell'Opera del Duomo e del suo personale: i ruoli, i compiti e le peculiarità, fin dalla sua fondazione nel 1296.
Le “Opere” o “Fabbriche” sono organismi collegiali che fiorirono tra il XII e il XIV secolo nell’Italia dei liberi comuni per amministrare e condurre importanti “opere” di interesse pubblico: generalmente eminenti luoghi di culto, ma anche fortificazioni, orfanotrofi, ospedali. Le Opere erano finanziate dai Comuni che le avevano create e la loro amministrazione, nelle forme e negli uomini, si compenetrava con le istituzioni di governo cittadine.
Firenze, che fin dal XIII secolo poteva vantare cantieri che per dimensioni erano tra i più importanti d’Europa, apportò una variazione a questo sistema, ponendo a interposizione tra l’Opera e il governo comunale le più importanti corporazioni di mestieri: le cosiddette “Arti”. Le più ricche e potenti di queste organizzazioni, che rappresentavano l’élite imprenditoriale della città, oltreché il motore propulsivo che aveva garantito a Firenze la straordinaria ricchezza e forza economica del tempo, divennero anche parte della struttura del governo oligarchico comunale cittadino, cui si assimilarono anche nelle forme statutarie.
La più antica di queste, l’Arte dei Mercanti o “di Calimala”, aveva ad esempio la gestione del Battistero e della basilica di San Miniato al Monte - il Battistero fu poi accorpato all'Opera di Santa Maria del Fiore nel 1777, che fino a quel momento gestiva Duomo e Campanile di Giotto -, mentre quella dei Setaioli, provvide alla creazione dell’Ospedale degli Innocenti; solo per fare degli esempi. Le Opere fiorentine avevano quindi un inquadramento giuridico ambiguo: l’Arte forniva il personale direttivo dell’Opera eleggendolo tra i propri iscritti, ma la stessa era finanziata dalle casse comunali e al Comune, che ne era il supremo legislatore, doveva render conto del saldo e dell’esecuzione della fabbrica; il delicato compito era ricambiato dal prestigio che la Corporazione stessa riceveva dall’incarico e dal poter cioè associare il proprio nome a grandi imprese di interesse pubblico.
Dall’altra parte il governo poteva assicurarsi l’operato di personale specializzato: importanti uomini d’affari capacissimi nella gestione del denaro, nonché nella programmazione e attuazione di progetti complessi e di lunga durata. Nel 1331 l’Opera del Duomo fu affidata e divenne quindi parte integrante dell’Arte della Lana, che ne regolò il funzionamento tramite i propri statuti; per questo per decenni non fu stilato uno Statuto originale proprio della fabbriceria, ma solo raccolte legislative, dove si teneva copia dei provvedimenti comunali e della corporazione che le erano inerenti.
La sede storica dell'Arte della Lana. (Credits photo: Sergey Ashmarin, Wikipedia)
L’Arte della Lana sovrintese al Duomo fino al 1770, ovvero fin quando non fu decretata la soppressione delle Corporazioni delle Arti da parte del governo lorenese. Nei suoi 439 anni sotto la sua gestione, tuttavia, questo ente conobbe alcuni mutamenti delle sue strutture interne e della sua autonomia decisionale ed esecutiva.
Dalla sua fondazione l’amministrazione del grande ufficio dell’Opera di Santa Maria del Fiore era ancora indefinita: gli Operai, i suoi amministratori diretti e quindi le massime autorità dell’organismo, erano eletti attraverso formule “miste” sia da clero che da Comune (ne eleggevano due ciascuno); successivamente, furono le Arti a candidarsi all’affidamento della prestigiosissima Opera cosicché fin verso gli anni Venti del Trecento i suoi amministratori vennero scelti a turnazione periodica tra quelle maggiori, sebbene le notizie documentarie siano su questo punto nebulose. Dovette trattarsi, però, di un sistema claudicante che portava le fabbriche di Cattedrale e Campanile a progredire a singhiozzi se tra il 1331 e il 1332 l’Opera fu poi interamente affidata alla Corporazione al tempo in maggiore ascesa: quella dei produttori e mercanti di Lana.
Da allora l’Agnello mistico, simbolo di quell’Arte, è rimasto a emblema anche dell’Opera di Santa Maria del Fiore. Quello degli Operai divenne da questo momento in poi un ufficio interno all’Arte così come quello del Camarlingo, che assolveva al delicato compito di tesoriere. Venne creato un sistema di finanziamento pubblico che superava il vecchio modello fondato su elargizioni irregolari: i finanziamenti da parte del Comune divennero permanenti, ricavati da una quota fissa desunta dalle gabelle comunali, cui si sommavano in seconda battuta i legati testamentari (imposti per legge fin dal 1296) o donazioni di privati (rare), nonché i proventi della vendita di legname, di marmi o altri materiali.
Successivamente, con lo Statuto dell’Arte del 1333 furono previste tre magistrature con durata quadrimestrale e con divieto di ricandidatura quadriennale (per evitare il crearsi di interessi familiari o di gruppi di potere particolari); la loro elezione avveniva in seno alla Corporazione, parallelamente ma separatamente all’elezione di altri suoi uffici interni, e con il sistema del sorteggio per estrazione da speciali “borse” entro le quali potevano essere inseriti solo i nomi di iscritti all’Arte stessa.
Erano previsti quattro operai, ciascuno proveniente da uno dei quattro quartieri (o “conventi”) in cui l’Arte era organizzata; quindi un “Camarlingo”, eletto per estrazione a sorte da una borsa speciale contenente i nomi degli iscritti per il quartiere di turno e con salario di 8 lire mensili; e anche un “notaio”, eletto tra i notai nominati e con salario di 6 lire al mese. Il Camarlingo rispondeva personalmente ai Consoli (la maggior carica dell’Arte), doveva esigere e registrare tutte le entrate dovute all’Opera e poteva sborsare i denari solo dietro stanziamento degli operai, opportunamente registrato dal notaio. Mentre gli Operai e il Camarlingo, che avevano pieno governo sulla fabbrica, erano membri dell’Arte, il notaio era per necessità di requisiti esterno alla stessa.
Altri ufficiali salariati con i fondi dell’Opera erano il Provveditore (con compiti di amministrazione quotidiana dell’ente), il Capomastro (con incarico di gestione tecnica del progetto e controllo sulle diverse maestranze impegnate), lo Scrivano delle giornate (addetto alla registrazione delle presenze in cantiere dei lavoratori), e altri più o meno occasionali. Venivano quindi da loro gestite grosse somme di denaro e tuttavia per spese straordinarie o per affari specifici, quali la vendita di immobili, il potere deliberativo degli Operai era condiviso con i Consoli dell’Arte stessa (per evitare affari di compravendite con esterni) e talvolta accadeva che il Comune stesso richiedesse una revisione dei conti.
Per questioni di particolare delicatezza o importanza si prevedevano eccezioni: nel 1334 fu il Comune a eleggere direttamente Giotto architetto dell’Opera (in quanto rivestito della straordinaria carica di soprintendente di tutte le grandi opere pubbliche del Comune); mentre, ancora nel Trecento, furono i Consoli dell’Arte, spalleggiati da comitati di esperti, a preoccuparsi in prima persona di scegliere il modello da seguire per la Cattedrale, così come di trovare soluzione al problema di statica dei pilastri del presbiterio.
Talvolta furono create dall’Arte stessa speciali commissioni interne volte a dirimere queste questioni cruciali: furono così creati quattro Ufficiali della Cupola appositamente eletti dai ranghi dell’Arte per controllare e sollecitare l’avanzamento dell’impresa brunelleschiana (scelti nel 1419 furono rieletti nel 1423, forse per dimostrate capacità personali), mentre nel 1413 (e stabilmente nel 1426) furono istituiti i “Quattro Ufficiali della Sacrestia”, con il compito di provvedere all’arredo liturgico delle nuove tribune: fu dato incarico a Ghiberti di realizzare l’Arca di San Zanobi, a Brunelleschi e a Buggiano di disegnare gli altari marmorei delle tribune, a Matteo da Prato di realizzare un organo, a Luca della Robbia di scolpire una delle due cantorie, e a Bernardo di Francesco di completare alcune vetrate dipinte.
La cantoria di Luca della Robbia, oggi nel Museo dell'Opera del Duomo.
Ne conseguiva che all’Arte della Lana fosse quindi conferito un ruolo di peso anche sulla gestione del culto in Cattedrale; a ciò si aggiunsero responsabilità straordinarie, quali il rifacimento di Piazza dei Signori, la creazione degli appartamenti papali in Santa Maria Novella, la costruzione e la salvaguardia delle fortificazioni e altri.
Per circa un secolo quest’organigramma funzionò pur con alterne modifiche del numero degli impiegati nei diversi uffici, della durata del loro incarico, e delle restrizioni allo stesso. Nel Quattrocento il rallentare della mobilità sociale e il rafforzarsi del regime politico fece della carica di Operaio una figura di prestigio sociale e di legittimazione politica per molte delle più importanti famiglie fiorentine, la maggior parte delle quali erano coinvolte nelle lotte politiche per il controllo del governo oligarchico (tra fazione Albizzi e fazione medicea). A vari tentativi reciproci di epurazione di membri del partito avverso dalle cariche di governo si giunse in seno all’Opera alla deliberazione del 21 giugno 1441 con cui, all’antico modello di molti ufficiali in rapida rotazione, si sostituirono due soli operai in carica per un anno e con buoni salari; questi divenivano ora a pieno titolo funzionari: era il capovolgimento del concetto repubblicano di “magistratura”.
In tal senso l’epoca della cosiddetta “cripto-signoria” di Lorenzo il Magnifico vide un inasprimento del controllo sull’Opera da parte della fazione medicea: ma nonostante il potere che Lorenzo riuscì a esercitare su Santa Maria del Fiore (inaudito fino ad allora) nessuno dei suoi progetti monumentali per il coro e per la facciata trovò attuazione.
Alla fine del XV secolo il sistema elettorale chiuso delle Arti portò via via al trasmettersi delle cariche limitatamente alle poche famiglie consolari coinvolte: l’ascendenza di sangue valeva ora più delle effettive idoneità alla carica e delle abilità amministrative. Una decadenza della poliarchia dell’antica Repubblica verso un accentramento del potere, che sfocerà poi, al tempo del principato mediceo di Cosimo I, nell’esautorazione delle Arti, cui conseguì nel 1581 l’introduzione della figura dell’“Operaio a beneplacito”, nominato dal granduca e con una durata di mandato a discrezione dello stesso nobile.