Opera Magazine
21/02/2019
Conosciamo la personale su Venturino Venturi e l'opera in mostra al Museo dell'Opera del Duomo
Una nuova opera è in arrivo al Museo dell'Opera del Duomo dal 22 febbraio, protagonista il grande scultore toscano Venturino Venturi.
Dal 22 febbraio al 5 maggio 2019 il Museo dell’Opera del Duomo ospiterà in mostra, nella Sala delle Cantorie di Donatello e della Robbia, un’opera del grande scultore toscano Venturino Venturi intitolata “Ventre”, nell’ambito delle celebrazioni del seicentenario della fondazione dell’Istituto degli Innocenti, che vedranno esposte nel Museo dell’Istituto e a Palazzo Vecchio una personale del maestro intitolata “Mater” - curata da Lucia Fiaschi, Stefano Filipponi e Antonio Natali - focalizzata appunto sul tema della “maternità”; tema che fu centrale della sua produzione e della sua poetica.
Una mostra che avviene a distanza di un anno e in continuità tematica con quella celebrativa per il centenario della nascita dell’artista, quando nello stesso Museo dell’Opera del Duomo, nella Sala della Pietà Bandini di Michelangelo, fu ospitata in dialogo col grande capolavoro cinquecentesco la marmorea Pietà di Venturi, conservata nella chiesa di Micciano, e che ispirandosi all’altra celebre Pietà michelangiolesca, quella vaticana, proponeva una riflessione sul legame tra madre e figlio e sul mistero della generazione e della morte.
Venturino Venturi è stato uno dei più importanti e carismatici artisti toscani del secolo scorso; le sue sculture, i suoi dipinti e la sua produzione grafica testimoniano un genio creativo orgogliosamente toscano, ma di caratura internazionale. È stato un artista così devoto e consacrato alla sua arte che essa trova corrispondenza negli eventi chiave della sua vita: i suoi natali da una famiglia povera della campagna aretina, il legame forte con la madre, il rapporto col padre scalpellino col quale lavorerà per qualche tempo imparando il mestiere; quindi l’emigrazione in Francia e in Belgio con in valigia la Divina Commedia e Pinocchio. Poi il ritorno in Toscana, l’Istituto d’Arte nella Firenze dei suoi amati maestri del Rinascimento, e le frequentazioni con grandi intellettuali del tempo, da Mario Luzi a Ottone Rosai fino a Montale e Ungaretti.
Una vita segnata anche da momenti di intenso dolore: la Seconda Guerra mondiale; e anni dopo la degenza nell’Ospedale psichiatrico di San Salvi per una crisi depressiva. Ancora, il ritiro nella campagna isolata delle sue origini per lavorare in una dimensione di pace contemplativa e di assoluta libertà creativa; quindi il rifiuto di aderire al movimento spazialista e, parallelamente, l’allargarsi di fama e le commissioni importanti private e pubbliche, italiane ed estere.
L’intera produzione artistica di Venturino Venturi è connotata da una ricerca tormentata, incessante, personalissima, di marca “esistenzialista”, che svolse servendosi di diverse arti, tecniche, materie e stili. E nella traccia del pennello o nel solco dello scalpello Venturino reifica immagini che faticosamente affiorano dalla sua interiorità profonda, dal suo inconscio, e quindi le spoglia di ogni apparenza accidentale per ritrovarne la forma primigenia, dove si manifestano nella loro essenza di simboli elementari e universali, afferenti a temi centrali dell’esistenza umana: la morte, il dolore, la resurrezione, la speranza, la fede e – su tutti – la Maternità, intesa come nascita, rinascita, generazione creativa.
Questa sua ricerca liberissima si esprime ora col vigore della plastica di Masaccio e Donatello, ora col non-finito di Michelangelo, ora con le forme sintetiche del romanico cristiano, ora con il raffinato realismo della ritrattistica etrusca, fino a toccare i primi vagiti dell’arte figurativa della scultura paleolitica e quindi sfiorare l’astrazione geometrica e il ritorno al “segno”. E in questo viaggio di esplorazione nella materia e nell’interiorità il maestro raggiunse esiti poetici e formali tangenti a grandi del suo tempo: Moore, Brancusi, Giacometti, Modigliani, Fontana (che l’avrebbe voluto nel suo movimento spazialista), e altri.
L’opera ospitata ed esposta al Museo dell'Opera del Duomo, intitolata “Ventre”, è un cerchio di bronzo lenticolare, la cui superficie esterna è appena mossa da un lieve segno di croce, all’incontro dei cui bracci è un accenno di concavità. Il titolo permette subito di comprendere l’allusione al ventre materno, che si gonfia per generare la vita; una forma semplice il cui alto livello di astrazione la trascende in un simbolo cosmico della vita, l’inizio di ogni forma possibile. Una speranza positiva di nascita e rinascita che illumina dall’interno la vita umana.
Venturino credeva infatti in una profonda relazione tra il mondo simbolico dell’interiorità e la realtà concreta della vita e dell’arte, e di come il fare artistico fosse un processo generativo operato sulla materia inerte (qui terracotta e bronzo), simile al formarsi della creatura nell’utero della donna. La parola “mater” che è titolo di molte sue opere, ambiguamente, afferisce sia al temine “Madre” che a “materia”. In questa possibilità dell’arte di rilevare verità profonde dell’esistenza, la creazione stessa si tinge di sacralità: ecco la croce, segno di benedizione, come quello che si faceva sul pane prima che lievitasse o come fanno i sacerdoti sui ventri delle madri.
Biglietto congiunto
Il biglietto congiunto che garantisce l'accesso al Museo dell'Opera del Duomo e al Museo degli Innocenti - intero 18 euro, ridotto 6 euro - è acquistabile presso le biglietterie del complesso monumentale di Piazza Duomo.