Opera Magazine
10/03/2022
Il Paradiso dei Santi protettori di Firenze
Un viaggio alla scoperta della devozione fiorentina nei tesori d’arte dell’Opera di Santa Maria del Fiore
Piazza del Duomo è l’ombelico della religiosità fiorentina e qui vengono resi onore e culto ai maggiori santi protettori della città: a loro sono riservati edifici sacri e altari ed essi sono protagonisti di innumerevoli opere d’arte del tesoro dell’Opera.
Guardando alle nostre collezioni spicca innanzitutto la devozione per Maria, madre del Salvatore, regina di tutti i santi e protettrice di Firenze. Nel Trecento la nuova Cattedrale fu dedicata a Lei col titolo di “Santa Maria del Fiore”, dove l’attributo floreale richiama sia il giglio dello stemma che il nome di Firenze, ed è anche un riferimento poetico e teologico a Cristo “fiorito” nel suo ventre. Le storie della Madonna e del suo “Fiore”, tra cui la celeberrima “Madonna dagli occhi di vetro”, furono scolpite in marmo da Arnolfo di Cambio agli inizi del Trecento a ornamento dei tre portali dell’antica facciata della Cattedrale e in controfacciata Gaddo Gaddi mosaicò l’incoronazione della Vergine in cielo. Cinquecento anni dopo, nella nuova facciata neogotica, Maria e il Salvatore furono di nuovo scelti come soggetto del nuovo programma iconografico della decorazione scultorea del fronte architettonico, decorato dalla mano dei più eccellenti scultori fiorentini del periodo.
Nell’arco di questi cinque secoli che separano le due facciate, e da ancor prima se consideriamo i mosaici duecenteschi del Battistero, l’immagine di Maria Vergine fu interpretata innumerevoli volte dagli artisti che lavorarono per il cantiere dell’Opera. Maria con Gesù Bambino è al centro del Polittico di Santa Reparata di Giotto e la sua bottega e ritorna in molte pale di artisti suoi discendenti, tra cui la splendida Madonna del Parto di Bernardo Daddi (ora al Museo) e la dolcissima Madonna “del solletico” di Andrea Pisano scolpita per il Campanile. Nelle opere del Rinascimento il soggetto della Vergine è onnipresente e lo troviamo in opere d’arti capitali, quali le nove vetrate della Cattedrale a Lei dedicate (quella della controfacciata e le otto del tamburo), disegnate dai maggiori artisti del Quattrocento o il grande timpano della Porta della Mandorla di Nanni di Banco e Donatello. Una menzione merita anche la splendida annunciazione marmorea di Giovanni d’Ambrogio, ora nel Museo, datata ai primi del Quattrocento. La Cupola stessa del Brunelleschi ha la forma del ventre gravido di Maria che si innalza verso il cielo. Nel Cinquecento Vasari e Federico Zuccari dipinsero una gigantesca Madonna a fianco del Cristo giudice, nella sezione orientale del Giudizio Universale dipinto nell’interno della Cupola e nel XIX secolo la cappella meridionale della Cattedrale fu intitolata all’Immacolata Concezione di Maria e uno splendido tabernacolo in argento e oro fu posto sull’altare.
Se la Cattedrale è intitolata a Maria, il Battistero, più antico di tre secoli, è dedicato a San Giovanni Battista, ultimo dei profeti e primo dei santi, patrono di Firenze, la cui effigie campeggiava su una faccia del fiorino, la moneta coniata a Firenze nel XIII secolo. La Madonna col Bambino da una parte e il Battista dall’altra, seduti su scranni celesti, si guardano dai lati dell’arco della scarsella del Battistero. La figura di San Giovanni, dall’aspetto di eremita vestito di pelle di cammello e manto rosso, ricorre in moltissime delle opere commissionate soprattutto per il tempio a lui dedicato. Le sue storie brillano nel registro inferiore (il più grande e il più visibile) dei mosaici di fine Duecento della volta e nelle formelle in bronzo dorato della Porta Sud del tempio, opera di Andrea Pisano del 1330-36. All’interno del Battistero, la vita del Battista ricorreva nei rilievi del grande antependio d’argento dell’altare (mastodontica opera di diverse generazioni artisti tardogotici e del Rinascimento), nonché nei ricami in seta e filo d’oro dei parati liturgici disegnati da Antonio Pollaiolo, capolavoro dell’arte tessile del Quattrocento.
Nel XVI secolo, poi, tre grandi gruppi scultorei dedicati a San Giovanni, furono commissionati per ornare le sovrapporte del Battistero: la Predica di Giovan Francesco Rustici, il Battesimo di Andrea Sansovino, La Decollazione di Vincenzo Danti. Infine, l’Opera conserva nella Cappella del Museo e in Cattedrale molte reliquie del Battista, all’interno di splendidi reliquiari, realizzati tra il XIV e il XIX secolo.
Ma se si procede a ritroso nel tempo degli edifici di piazza del Duomo scopriamo il nome di un altro santo: Reparata, alla quale era intitolata l’antica basilica i cui resti archeologici sono visitabili nel sottosuolo del Duomo. Reparata fu una vergine martire palestinese vissuta nel IV secolo. Con un vaso nelle mani e velata, la sua figura affiancava la Maestà di Arnolfo nella lunetta maggiore della facciata medievale del Duomo e nel fronte neogotico della fine dell’Ottocento, Amalia Duprè la raffigurò tenendo malinconicamente tra le braccia la palma del proprio martirio. Nel Museo si conservano altre tre rappresentazioni di Reparata, rappresentata con eroica fierezza: un piccolo e prezioso marmo di mano di Andrea Pisano e due tavole del Trecento.
Ma perché a Firenze si venerava una santa mediorientale? La ragione del suo culto è legata a una leggenda che ci permette di introdurre il quarto santo del nostro racconto: San Zanobi, discepolo di Sant’Ambrogio e primo vescovo di Firenze nel IV-V sec.
Al tempo del suo episcopato, Firenze si trovò minacciata dalle orde barbariche di Radagaiso e si dice che fu per intercessione di Santa Reparata, invocata da Zanobi, che le truppe romane alleate guidate da Stilicone ebbero la meglio e salvarono Firenze. Ecco quindi che troviamo Zanobi ritratto specularmente a Reparata sull’altro lato del trono della Madonna dagli occhi di vetro di Arnolfo e, di nuovo, nella cornice destra del portale maggiore della facciata ottocentesca. Zanobi è raffigurato in cattedra e cinto da alcuni episodi della sua leggenda anche nel dossale che porta il suo nome, una delle opere più antiche e venerate del tesoro dell’Opera (ora al Museo), il cui legno, secondo la leggenda, sarebbe quello dell’olmo miracolosamente fiorito durante la traslazione delle sue spoglie da San Lorenzo al Duomo, nel IX secolo, laddove ora si trova la colonna, anch’essa intitolata a lui.
Quei resti miracolosi di Zanobi, nel Quattrocento, furono posti in un’urna reliquiario di bronzo, che è un capolavoro di Lorenzo Ghiberti, ancora oggi conservata sotto l’altare della cappella intitolata al santo vescovo, nella tribuna orientale della Cattedrale. E ancora decine di volte riconosciamo Zanobi nelle opere d’arte antiche del nostro complesso. Lo incontriamo affiancato dai suoi diaconi mentre calpesta Orgoglio e Crudeltà nella grande pala di Giovanni del Biondo in Cattedrale (1380), oppure affiancato da due angeli in una lunetta di Andrea della Robbia, proveniente dall’antica sede della Compagnia laicale a lui intitolata. Un suo mastodontico ritratto, infine, è quello modellato alla fine del Cinquecento da Pietro Francavilla per le decorazioni effimere delle nozze del granduca Ferdinando I, oggi conservato nella tribuna morta nord ovest della Cattedrale. In quell’ambiente, accanto a questa statua, ve ne sono altre raffiguranti altri santi cari alla devozione fiorentina. Di loro parleremo nel secondo episodio del nostro viaggio…