Opera Magazine
17/02/2022
Sibille, Profeti e Patriarchi nel Campanile di Giotto
Capolavori di statuaria gotica e del primo Rinascimento
I monumenti dell’Opera di Santa Maria del Fiore sono all’origine dell’arte occidentale moderna e, uno dei luoghi dove la statuaria rinacque dai tempi dell’antichità classica, sono le nicchie del terzo livello del Campanile di Giotto.
Il Campanile ha una decorazione scultorea esterna che fu realizzata nell’arco di cento anni, 1334-1436, iconograficamente molto elaborata, ordinata su tre livelli per ognuno dei quattro lati. In un nostro precedente articolo abbiamo già raccontato dei primi due livelli di queste decorazioni, ovvero i rilievi trecenteschi di Andrea Pisano e della sua bottega raffiguranti le scienze umane e le potenze celesti che le governano. Il terzo livello è occupato da sedici nicchie cuspidate, all’interno delle quali furono collocate, quattro per ciascun lato, altrettante sculture in marmo in altissimo rilievo e a tutto tondo, raffiguranti sibille, profeti e patriarchi.
Intorno alla metà del Trecento lo stesso Andrea Pisano con il figlio Nino e altri collaboratori avevano collocato sul lato ovest, quello maggiormente visibile dalla piazza, le sculture (lavorate in realtà solo sul lato frontale, l’unico visibile), raffiguranti la Sibilla eritrea, che secondo la tradizione cristiana antica aveva preannunciato la Redenzione; la Tiburtina, che per la stessa tradizione avrebbe profetizzato la nascita del Salvatore; David, re di Gerusalemme, autore dei Salmi e antenato di Cristo e suo figlio e successore il Re Salomone, creatore del grande tempio di Gerusalemme e sovrano di insuperabile sapienza. Ancora, i due Pisano e altri collaboratori scolpirono, per ornare il lato meridionale, un Mosè con in mano le tavole della legge e altri profeti non meglio identificati rappresentati barbati e con grandi cartigli. Sono tutte queste figure, connotate dall’elegante linearità e dalla possanza volumetrica insegnata in pittura da Giotto, transumanate e ieratiche, eccezion fatta per le sibille, che esprimono una certa umana allegrezza.
Completati questi due fronti per alcuni anni restarono vuote le nicchie degli altri due, l’orientale e il settentrionale, ed è qui che tra il 1409 e il 1436 la maniera giottesca del Pisano cedette il passo al rinascimento e cioè alla novità dirompente del naturalismo classico di Donatello e del suo collaboratore Nanni di Bartolo, detto “il Rosso”.
Per il lato orientale Donatello scolpì due splendidi profeti, difficilmente riconoscibili, forse Malachia e Isaia, perciò chiamati per consuetudine uno l’"imberbe" per via dell’acconciatura e l’altro “il pensieroso”, a ragione della posa con la mano riflessiva al mento. Si tratta di due straordinarie rappresentazioni connotate da un naturalismo senza precedenti di uomini avanti con l’età, vestiti con tuniche all’antica. L’espressione dei loro volti, ogni membro del loro corpo e ogni lembo delle loro vesti esprime con potenza il loro turbamento interiore provocato da quanto Dio gli ha rivelato. A loro si aggiunsero un terzo profeta (forse Zaccaria) opera di Nanni, che sembra arringare il popolo con la fierezza di un senatore romano sollevando una mano e lo sguardo e poi, una quarta statua, una delle più celebri del Rinascimento: il Sacrificio di Isacco, che Donatello e Nanni di Bartolo scolpirono insieme. Abramo è anziano, con lunga barba ed è colto nel momento in cui si torce con espressione sconvolta verso il cielo, richiamato dalla voce dell’angelo, un attimo prima di affondare il coltello nella gola del figlio Isacco che è inginocchiato ai suoi piedi nudo (il primo nudo a dimensioni naturali dell’arte moderna).
Alla coppia di geniali scultori fu affidata l’esecuzione anche della restante quaterna di statue per le nicchie rivolte a settentrione, le meno visibili perché dirimpetto al fianco della Cattedrale.
Di nuovo Donato e Nanni realizzarono quattro capolavori assoluti. Nanni scolpì il profeta Abdia, giovane bello e vigoroso con lo sguardo concentrato e triste verso coloro a cui mostra, aprendolo, il testo profetico del proprio rotolo; e San Giovanni Battista, ultimo dei profeti e primo dei santi, anche lui un giovane di bell’aspetto che, con espressione malinconica, mostra il cartiglio con l’annuncio dell’Agnello di Dio.
Donatello superò il compagno: il suo Geremia, impegnato a meditare su quanto scritto nel proprio cartiglio, è vigoroso e vibrante di spirito, ha le fattezze di un uomo di mezza età trasandato e di umili condizioni, ma esprime la forza fisica e la dignità morale di un eroe classico.
Lo Zuccone poi (forse il profeta Abacuc, così soprannominato dai fiorentini per riferimento affettuoso al cranio calvo con cui fu immaginato) è un’opera semplicemente insuperabile: Donatello ha dato forma a un uomo sui quaranta, dal corpo asciutto e nervoso avvolto in un largo manto e in un camice, che sbarra gli occhi per fissare qualcosa davanti a sé e tiene la bocca socchiusa per stupore di ciò che vede o per proferire parola a qualcuno che gli è di fronte.
Queste ultime quattro sculture erano troppo belle per restare “nascoste” sul fronte nord e nel 1464 furono “scambiate” con quelle trecentesche poste a ovest, così da dare miglior ornamento al lato del Campanile affiancato alla facciata della Cattedrale.
Le sedici sculture rimasero al loro posto per mezzo millennio finché, nel Novecento, si provvide a mettere al riparo questi splendidi marmi dalle ingiurie del tempo. Tra il 1939 e il 1945 Romano Romanelli e Natale Binazzi realizzarono a mano le copie in marmo bianco dei quattro profeti del lato ovest: i più esposti alle intemperie e, forse, i più belli.
Quindi, nel 1973-76 Enzo Cardini eseguì in cemento e polvere di marmo i calchi delle restanti 12 statue.
Gli originali di questi capolavori si possono ammirare nella sala del Museo dell’Opera del Duomo dedicata alle sculture del Campanile, a una distanza ravvicinata che nella collocazione originaria era impossibile, ma su un piano abbastanza elevato da poterne godere le pose e le espressioni dalla corretta prospettiva dal sotto in su.