Opera Magazine
19/05/2021
Grandi condottieri e grandi capolavori nella Cattedrale di Firenze
L’altro volto della bellezza: non solo santi e angeli ma anche sanguinari guerrieri
Quando si entra nella Cattedrale di Firenze e ci si immerge nella bellezza di quest’architettura medioevale ornata da dipinti e sculture sublimi ci viene da sognare il Medioevo e il Rinascimento come tempi di pace. Secoli caratterizzati dal fiorire delle arti e degli studi filosofici e dal prosperare dei commerci. Ma la verità storica è più complessa. La realtà ce la raccontano i due imponenti soldati che troneggiano nella navata sinistra della Cattedrale con i loro cavalli da guerra, armature e bastoni del comando. Sono i monumenti funebri dei capitani di ventura Niccolò da Tolentino e John Hawkwood, capolavori in affresco di Andrea del Castagno e Paolo Uccello ispirati agli antichi monumenti equestri di imperatori e generali dell’antica Roma. Accanto a loro, fino all’Ottocento, c’erano anche il sarcofago e la statua ritratto di un terzo comandante: Piero del Farnese. Che ci fanno questi soldati in un luogo sacro?
Essi ci testimoniano che Firenze visse per secoli in uno stato di persistente conflitto armato: guerre civili, guerre di difesa o di conquista con le città e gli stati vicini erano all’ordine del giorno. Gli eserciti che si fronteggiavano in queste sanguinose battaglie non erano come quelli di oggi: cavalieri e fanti non erano soldati di professione ed a loro si univano spesso gruppi di feroci mercenari. A guidarli non c’erano poi generali fedeli ma condottieri esperti, italiani e stranieri che entravano a servizio di questo o quello stato in cambio di denaro e terre. La fama di questi guerrieri andava di pari passo con la ferocia delle loro imprese: non solo vittorie militari ma anche terribili assedi, saccheggi e scorribande difficilmente controllabili anche da parte degli stessi “committenti”.
Quando la ricchissima Firenze ebbe le possibilità di avvalersi di alcuni tra i migliori professionisti della guerra, come appunto Niccolò da Tolentino, John Hawkwood o Piero del Farnese, i loro servigi furono ricambiati con l’onore di imponenti monumenti funebri in Duomo. Non si deve infatti dimenticare che la Cattedrale aveva anche un ruolo civile e che lo spazio delle navate era anche una sorta di pantheon dei fiorentini illustri: artisti, filosofi e…guerrieri.
Conosciamo questi valorosi soldati da vicino guardando i capolavori che gli furono tributati.
In controfacciata si trovava il sepolcro di Piero del Farnese (oggi nel Museo). Piero fu capitano dell’esercito pontificio e generale delle truppe fiorentine nel Trecento. A capo di fanti e cavalieri il 7 maggio del 1363 sconfisse le truppe pisane nei pressi di Bagno a Vena e tornò a Firenze acclamato come un eroe: gli furono consegnate le insegne della città e gli fu rinnovato l’incarico. Morto di peste lo stesso anno, gli furono tributate esequie solenni e un antico sarcofago romano fu riutilizzato come sua sepoltura. Su di esso furono scolpite le armi degli stati a cui aveva prestato servizio e al di sopra fu collocata una scultura lignea che lo ritraeva a cavallo, si dice opera di Jacopo di Cione (oggi perduta).
Su commissione del governo cittadino Paolo Uccello nel 1436 affrescò sulla parete della navata sinistra un sarcofago a parete sormontato dal ritratto equestre del comandante inglese John Hawkwood, italianizzato in “Giovanni Acuto”. Questo condottiero era stato fedelmente al servizio di Firenze per decenni nel XIV secolo, acquisendo anche un certo peso politico. Nonostante la fama di straordinaria ferocia (deriva da lui il detto “inglese italianato, diavolo incarnato”) alla sua morte, nel 1394, fu celebrato in cattedrale con splendidi funerali e con il gigantesco dipinto murale.
Mentre Paolo Uccello dipingeva l’Acuto moriva un altro comandante: Niccolò Maruzi da Tolentino. A lui Andrea del Castagno dedicò nel 1456 l’affresco compagno di quello di Paolo Uccello, da cui riprese l’invenzione e le dimensioni, ma immaginando il cavaliere e il sarcofago in marmo bianco su un fondo di porfido, invece che di bronzo. Nicolò da Tolentino era “figlio d’arte” nella professione militare e aveva passato l’intera vita combattendo. L’apice della sua fama fu raggiunta quando a capo dell’esercito fiorentino sconfisse i senesi nella celebre battaglia di San Romano, nei pressi di Pisa.
È difficile per noi moderni comprendere perché queste figure siano poste accanto alle immagini degli Apostoli o di Maria, ma non era così per i nostri antenati. Per loro questi uomini d’arme avevano difeso la patria come facevano i santi dal Paradiso e, sebbene non ci fosse certezza che le loro anime avessero meritato l’eternità in Cielo, la grande arte permise alla loro fama di sopravvivere per secoli fino ad oggi.