Opera Magazine
17/11/2016
Come la Campana del Campanile di Giotto è tornata a nuova vita
Come salvare da vandalismi e usura un'icona storica del Campanile di Giotto: la Campana Apostolica. Storia e analisi del restauro appena concluso.
615 anni, 1.268 chili. È l’identikit di una campana; o meglio, della Campana per eccellenza: quella apostolica del Campanile di Giotto. Riportata a nuova vita dopo anni di abbandono, testimoniato dalle condizioni generali dell’antico manufatto creato nel 1401. Quella che il grande bronzista e restauratore Bruno Bearzi, negli anni ‘50 del recupero del patrimonio post-guerra, definì: “Il paziente più illustre e difficile che devo curare”.
La stessa campana è tuttora visibile nella sua posizione originaria - al terzo livello del Campanile di Giotto -, riportata alle originarie condizioni di pulizia e conservazione dopo decenni di usura e danneggiamenti d’ogni sorta, sia ambientali che, soprattutto, vandalici. La particolare natura dell’oggetto, infatti, lo ha esposto a degradi causati da eventi meteorologici e - al contempo - da iscrizioni, scritte e firme susseguitesi nell'arco di 30 anni (la prima risalente al 1987).
Le iscrizioni lasciate dai visitatori nel corso del tempo avevano varie misure, da pochi millimetri a decine di centimetri; inoltre, ciò che ha reso ancor più complesso e delicato l’intervento di restauro dell’opera è stata la varietà dei materiali utilizzati per tali “autografi”: vernici, smalti, penne a sfera, correttori da cancelleria, pastelli a cera, pennarelli indelebili e perfino matite per gli occhi. Insomma, un maquillage di difficilissima gestione che, col tempo, ha potuto agire in profondità fino ad intaccare la spessa incrostazione che riveste la Campana come una seconda pelle.
In questo senso, la complessità e insieme la straordinarietà dell’intervento è da ricercare proprio nell’eterogeneità dei materiali utilizzati, che necessitavano la messa a punto di varie tecniche specifiche per la rimozione. La maggior parte di esse è stata asportata a seguito di un ammorbidimento effettuato con solventi applicati ad impacco e rimossa meccanicamente con bisturi e l’ausilio di lenti di ingrandimento. Questa fase ha richiesto particolare attenzione affinché non si intaccassero i prodotti di alterazione che, ormai stabilizzati, costituiscono attualmente la superficie della Campana.
Un intervento diverso è stato previsto per le parti della Campana in bassorilievo, come l'iscrizione, gli stemmi e la capigliera. Da questi elementi, le incrostazioni che non rendevano più leggibile il testo e le decorazioni, sono state rimosse con l'ausilio di bisturi, micromotori muniti di spazzoline di metallo morbide e vibro-incisori con punte in ferro dolce.
Un lavoro impostato sullo studio e l’applicazione di una pluralità di interventi, in coerenza con il concetto di un restauro conservativo che ha posto come priorità l’utilizzo di elementi non tossici. La direzione dei lavori - sotto la guida dell’Architetto Beatrice Agostini - ha visto impegnate tre restauratrici - Sveta Gennai, Chiara Valcepina, Ra Yunjoung - e l’alta sorveglianza della Soprintendenza delle Belle Arti con Maria Matilde Simari.
Un paziente lavoro di gruppo durato cinque mesi, reso possibile dall’Opera del Duomo di Firenze, e che sancisce il ritorno di un’icona di uno dei maggiori monumenti della città.