Opera Magazine
25/03/2024
Dante Alighieri, la Divina Commedia, il Duomo e il Battistero di Firenze
Le storie, i luoghi e le opere del complesso monumentale del Duomo di Firenze nella vita di Dante Alighieri e nei versi della Divina Commedia
Nella navata destra del Duomo di Firenze si può ammirare il più famoso ritratto di Dante Alighieri (Firenze, 1265 - Ravenna, 1321), commissionato dal governo cittadino a Domenico di Michelino per celebrare il sommo poeta nel bicentenario della sua nascita (1465), si dice nel luogo dove agli inizi del Quattrocento si svolsero delle pubbliche letture del suo grande poema: la Divina Commedia. Nel dipinto si vede infatti l’Alighieri in piedi, con in mano il suo capolavoro aperto sulla prima pagina. Intorno a lui, sulla sinistra si dischiudono allo sguardo i mondi ultraterreni descritti nel poema e dalle pagine di quel libro si proietta una luce che illumina a destra Firenze, con le sue mura e le sue torri e, soprattutto, la sua Cattedrale, dominata dalla grande mole della Cupola.
Quei raggi di luce che dai versi della Commedia barbagliano sulle tegole e sui marmi di Santa Maria del Fiore, sono il segno più eloquente del profondo legame che unisce Dante ai nostri monumenti.
Il Battistero di Firenze, il Duomo, cioè la Cattedrale di Santa Maria del Fiore, con i resti sotterranei dell’antica Santa Reparata e la Cupola di Brunelleschi, il Campanile di Giotto, il Museo e tutte le opere d’arte in essi contenuti, sono, forse più di ogni altro, luoghi danteschi. Qui infatti la cultura, il pensiero e l’arte dell’Alighieri illuminano ancora i marmi, i mosaici e le pitture e, viceversa, sfogliando le pagine delle opere di Dante si scopre che l’ispirazione fu vicendevole e che le architetture e le opere d’arte di questo complesso monumentale si impiantarono nella sua immaginazione creativa e lo accompagnarono nostalgicamente anche in esilio.
Domenico di Michelino, Dante Alighieri, Firenze e i mondi della Divina Commedia, 1465, Cattedrale di Santa Maria del Fiore
Visitando i nostri monumenti quindi si percorrono gli spazi che anche Dante percorse e si ammirano le bellezze che anche egli vide, oppure si fa esperienza di luoghi e immagini che da lui furono ispirate e si viene così trasportati nelle vette liriche del suo poema.
Il Battistero l tempo di Dante era questo l’ombelico religioso e civile di Firenze ed esso ricorre infatti ben due volte nella Divina Commedia.
La prima volta è nel Canto XIX dell’Inferno (versi 16-21) quando rammenta l’antico fonte che era nel “bel San Giovanni”: un capolavoro del romanico fiorentino che fu purtroppo demolito nel Cinquecento ma i cui frammenti fanno bella mostra di sé nel lapidario del Museo. Fa impressione quando ci si trova davanti a quei marmi intarsiati ripensare a quei versi di Dante dove il poeta ricorda di aver rotto in un punto il fonte per salvare un bambino dall’annegamento durante un Battesimo:
“Non mi parean men ampi né maggioriche que’ che son nel mio bel San Giovanni,fatti per loco d’i battezzatori;l’un de li quali, ancor non è molt’anni,rupp’io per un che dentro v’annegava:e questo sia suggel ch’ogn’omo sganni”.Ancora più commovente è quando nel XXV Canto del Paradiso (versi 7-9) Dante rivela la sua speranza di poter ritornare nella sua città natale e in quel luogo dove era stato battezzato ricevervi la corona di poeta:
“[...]con altra voce omai, con altro velloritornerò poeta, e in sul fontedel mio battesmo prenderò ’l cappello;[...]”Un sogno che si sarebbe realizzato sei secoli dopo la sua morte e precisamente il 14 novembre del 1465 quando papa Paolo VI donò per Dante al Battistero una corona d'oro col monogramma di Cristo riconoscendo l’Alighieri sommo poeta e sommo teologo (come ribadì nella sua Lettera apostolica “Altissimi Cantus”).
Quel riconoscimento si trova a breve distanza dai mosaici della volta e della scarsella a cui chissà quante volte Dante deve aver guardato, come testimone diretto di parte della loro realizzazione.
Maestranze del XIII secolo, Veduta dei mosaici della scarsella e della volta del Battistero di San Giovanni
Le visioni di ruote e girotondi di angeli e i bagliori del Paradiso potrebbero essere state ispirate dagli anelli dei registri sommitali con le gerarchie angeliche e, nella scarsella, l’immagine dei troni affrontati della Madonna col Bambino e del Battista sembra citare i versi 28-33 del XXXII della medesima Cantica:
“E come quinci il glorioso scanno de la donna del cielo e li altri scanni di sotto lui cotanta cerna fanno,così di contra quel del gran Giovanni, che sempre santo ‘l diserto e ‘l martiro sofferse, e poi l’inferno da due anni;[...]” .Più ancora i diversi supplizi patiti dai dannati e i diavoli loro carnefici che popolano lo spicchio nord ovest ispirarono certo i cerchi e le bolge del suo Inferno e il grande Lucifero che troneggia al centro di quel regno è simile a quello che Dante descrive alla fine della prima Cantica, con tre bocche che sbranano in eterno tre peccatori (versi 55-57):
“Da ogne bocca dirompea co’ dentiun peccatore, a guisa di maciulla,sì che tre ne facea così dolenti.”Maestranze del XIII secolo, Lucifero, Giudizio Universale nei mosaici della volta del Battistero di San Giovanni
L’altro Lucifero, quello dipinto nel Cinquecento nella sezione occidentale del Giudizio Universale della Cupola del Brunelleschi è a sua volta direttamente ripreso da questi versi danteschi, come d’altronde l’intero programma iconografico di quell’opera, elaborato dal Borghini e tradotto dai pennelli di Vasari e Zuccari, è di ispirazione dantesca per quel modo di ordinare per famiglie i beati nei cieli e i dannati nei gironi. Non è un caso se Dante stesso sia stato ritratto tra i beati e addirittura abbia l’onore di stare in compagnia dei Dottori della Chiesa.
Ma Dante non vide mai né queste pitture né la Cupola di Brunelleschi. Il duomo di Firenze ai tempi di Dante era ancora l’antica basilica di Santa Reparata, i cui resti archeologici furono ritrovati il secolo scorso e sono oggi visitabili con un percorso ipogeo sotto il pavimento della Cattedrale. È qui che dobbiamo immaginare Dante partecipare alle cerimonie religiose più importanti e, probabilmente, anche ad alcune sedute del “Capitanato del Popolo”, carica che egli ricoprì. E proprio mentre Dante raggiungeva l'apice del suo “Cursus honorum” negli organi di governo di Firenze nel 1396 il Comune dava vita all’Opera di Santa Maria del Fiore, l’ente incaricato della costruzione della nuova Cattedrale. La pietra ancora conservata sul lato meridionale di piazza del Duomo è ricordato col nome “sasso di Dante” perché, secondo la leggenda, il poeta si sarebbe seduto lì ad ammirare l’avanzamento dei lavori alla nuova Cattedrale.
Di quest'opera mastodontica, la cui realizzazione era stata affidata ad Arnolfo di Cambio, che la eresse a partire dalla facciata, lo stesso Dante fece certamente in tempo prima dell’esilio nel 1302 a vedere il progetto e ad assistere l’8 settembre del 1296 alla benedizione della posa della prima pietra. La cerimonia fu presieduta dal cardinal Piperno, vicino a quel papa Bonifacio VIII, che fu il grande nemico dell’Alighieri e che infatti ritroviamo nell’inferno dei simoniaci (Inferno XIX, 52-54).
Quasi certamente Dante però non vide l’effigie faraonica di questo pontefice scolpita dallo stesso Arnolfo per la facciata di Santa Maria del Fiore (oggi nel Museo dell’Opera), ma si sarebbe forse compiaciuto nel vederla sostituita con il proprio busto ritratto, di mano di Cesare Fantacchiotti, nella nuova fronte ottocentesca, dopo la demolizione di quella medievale alla fine del Cinquecento. Dante non vide nemmeno il Campanile della nuova Cattedrale, costruito su progetto di Giotto a partire dal 1334 (13 anni dopo la sua morte).
Ma Giotto e Dante, giganti fiorentini della cultura occidentale, si conobbero e nella sua Divina Commedia Dante celebrò per primo la grandezza e la fama di Giotto insieme a quella del suo maestro, Cimabue, che a sua volta era stato tra gli autori dei mosaici del Battistero (Purgatorio XI, 94-96):
“Credette Cimabue ne la pitturatener lo campo, e ora ha Giotto il grido,sì che la fama di colui è scura.”Chissà poi chi ha influenzato chi a proposito della tricromia di tutti i rivestimenti marmorei del Campanile e della Cattedrale. Dante non li vide direttamente ma è come se l’avesse avuti presenti quando descrisse i gradini che conducono all’accesso della Porta del Purgatorio, con la loro valenza simbolica di rappresentazione delle virtù teologali: verde la Speranza, bianco la Fede, rosso la Carità.
“[...]vidi una porta, e tre gradi di sottoper gire ad essa, di color diversi,[...] e lo scaglion primaiobianco marmo [...] .Era il secondo tinto più che perso,d’una petrina ruvida e arsiccia,crepata per lo lungo e per traverso.Lo terzo, che di sopra s’ammassiccia,porfido mi parea, sì fiammeggiantecome sangue che fuor di vena spiccia.”
(Purgatorio IX, 76-78 e 93-102)
E come di questi tre colori il poeta vestirà Beatrice nel Paradiso terrestre (Purgatorio XXX, 31-33),
- “[...]sovra candido vel cinta d’ulivadonna m’apparve, sotto verde mantovestita di color di fiamma viva”così i maestri lapicidi del Trecento rivestirono l’esterno della Cattedrale e del Campanile, con intarsi marmorei a motivi floreali. Un richiamo al titolo del Duomo: Santa Maria del Fiore. Un fiore che riecheggia “Fiorenza” ma che è anche il fiore germogliato nel ventre di Maria della preghiera di San Bernardo nel XXXIII del Paradiso (versi 7-9):
“Nel ventre tuo si raccese l’amore,per lo cui caldo ne l’etterna pacecosì è germinato questo fiore.”Il Brunelleschi, che come ci dicono le fonti della Commedia di Dante era profondo conoscitore, non può non aver pensato a quei versi del Paradiso mentre disegnava la grande cupola della Cattedrale intitolata alla Madonna, che davvero sembra un ventre che si gonfia prima di generare “il fiore”. Fiore che allude a Cristo e alla Resurrezione e che trova corrispondenza con la Pasqua e con l’avvento della primavera, quindi con il Capodanno fiorentino, il 24 marzo. Non è un caso se a ridosso di questa data, il 25 del 1300, secondo gli studiosi Dante stabilì il principio del proprio viaggio nella Divina Commedia. Per tal ragione questa data è stata quindi scelta come “Dantedì”, giornata nazionale celebrativa del poeta istituita dal governo italiano nel 2020, per il settecentenario della nascita del poeta.