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Maestranze toscane, Pavimento marmoreo della Cattedrale

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Scripta Maneant
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Opera di Santa Maria del Fiore
Data
01/06/2022
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Opera di Santa Maria del Fiore
Autori
Simone del Pollaiolo, detto "il Cronaca" - Baccio d'Agnolo (Bartolomeo d'Agnolo Baglioni) - Francesco da Sangallo (Francesco Giamberti) - Giuliano di Baccio d'Agnolo (Giuliano Baglioni) - Baccio Bandinelli (Bartolomeo Brandini)
Data
1500-1660
Collocazione
Cattedrale di Santa Maria del Fiore
Collocazione specifica
Interno, pavimento
Materia
Marmo nero di Colonnata, marmo verde di Prato, marmo rosso di Monterantoli, marmo rosso ammonitico, marmo bianco apuano, marmi brecciati, marmo Misio, marmo verde antico di Tessaglia, marmo africano, granito dell’Impruneta
Tecnica
Intarsio

Il maestoso pavimento della Cattedrale, in marmi intarsiati bianchi, neri e rossi, a motivi geometrici, fu realizzato tra il 1500 e il 1660 su disegno di diversi maestri fiorentini e si estende su tutta la superficie della Cattedrale, per un totale di circa 8.200 metri quadri. Fino alla fine del Quattrocento il pavimento della Cattedrale era in cotto. Nel maggio del 1500, fu fatta richiesta al capomastro dell’Opera, Simone del Pollaiolo, detto il Cronaca, di occuparsi del mantenimento dell’antica pavimentazione che si presentava molto logora: qui si originò la proposta di ripavimentare in marmo l’intera cattedrale. Nel 1504 i Consoli dell’Arte della Lana e gli operai dell'Opera di S. Maria del Fiore convennero di avviare il rinnovamento pavimentale dall’area attorno all’ottagono del coro; poi furono realizzati i pavimenti di alcune cappelle radiali (San Tommaso). Alla sua morte, nel 1508, il Cronaca aveva completato gran parte dell’ottagono intorno al coro, ma i lavori s'interruppero per riprendere nel 1520 sotto Baccio d’Agnolo e da allora proseguirono senza interruzioni: nel 1524 si completò il pavimento intorno al coro, nel 1525 quello della tribuna di San Zanobi, l’anno successivo quello della tribuna della Croce e nel 1528 si ultimò anche quella di Sant’Antonio. Qui Baccio s’ispirò per le geometrie degli intarsi ai tappeti turcomanni. Giunti in epoca granducale, il disegno e il cantiere dell’intera pavimentazione della cattedrale furono interamente affidati a Baccio d’Agnolo, affiancato da Francesco da Sangallo, Baccio Bandinelli e dal figlio dello stesso Baccio: Giuliano. La nuova pavimentazione fu un lavoro ciclopico per costi, quantità di materiali e manodopera, nonché per tempo: la sua ultimazione avvenne nel 1660. Si presenta ancora oggi come un enorme insieme di tappeti geometrici, posti entro gli assi ortogonali delle navate, e costituito da un susseguirsi di caleidoscopiche e elaboratissime “ruote” circolari o ottagonali, generanti giochi di illusione prospettica, con inserzioni discrete di sepolcri e memoriali arricchiti da stemmi.

Per i tasselli furono selezionati il “Nero di Colonnata” e il “Verde di Prato”, il “Rosso di Monterantoli” e il “Rosso ammonitico”, il marmo bianco apuano, marmi “brecciati”, il Marmo Misio e il “Verde antico di Tessaglia”, il  “Marmo africano” dalle tonalità variabili dal rosa al giallo al grigio-blu e il “granito dell’Impruneta”. Da una parte questa tecnica richiamava e si rifaceva alla tradizione dei tappeti marmorei romanici, ma più esplicitamente i disegni di Baccio d’Agnolo e del Sangallo volevano rievocare con raffinato gusto i fasti pavimentali dell’edilizia imperiale romana, su tutti quelli del Pantheon. Da una parte si volle rievocare i fasti della Firenze repubblicana nell’uso dei tre colori – bianco, verde, rosa - del Campanile di Giotto e del rivestimento della Cattedrale e s'intravede un richiamo al romanico fiorentino; ma quest’antica tradizione è proiettata in una dimensione “moderna” per dimensione e significati, cioè l’estendersi del dominio fiorentino a tutta la Toscana e al suo farsi capitale di uno Stato moderno: un regno guidato da un duca.

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