Domenico di Michelino, Dante, Firenze e la Divina Commedia
- Autori
- Domenico di Michelino - Alesso Baldovinetti
- Data
- 1465
- Collocazione
- Cattedrale di Santa Maria del Fiore
- Collocazione specifica
- Interno, navata sinistra, quarta campata, parete
- Materia
- Pigmenti a tempera, tela, legno
- Tecnica
- Pittura
- Dimensioni
- Altezza: 232 cm; Larghezza: 290 cm; Profondità: 10 cm;
- Schede di catalogo
- Dante, Firenze e i tre regni della Divina Comemdia
Questo celeberrimo dipinto, una tempera su tela applicata su tavola, raffigurante il ritratto di Dante Alighieri con Firenze e i Regni della Divina Commedia (Inferno, Purgatorio e Paradiso), fu commissionato dal governo cittadino a Domenico di Michelino nel 1465 per celebrare il bicentenario della nascita del poeta esule. Dante è raffigurato al centro, con gli abiti e i tratti del volto della tradizione iconografica (tunica e cappello rosso naso aquilino e lineamenti affilati), l’espressione malinconica e la corona di alloro sul capo. Tiene sollevato nella sinistra un tomo aperto sui primi versi della Divina Commedia. Il libro promana raggi dorati che illuminano a destra Firenze, raffigurata con una somma di edifici rappresentativi: le mura, la Cattedrale con la Cupola e il campanile di Giotto, la torre del Bargello e quella del Palazzo della Signoria, il campanile della Badia fiorentina e quello di San Pier Scheraggio. A sinistra si vede la grande porta merlata dell’Inferno, con la processione degli ignavi che, morsi da insetti, seguono uno stendardo bianco, tenuto da un demonio apri fila. Sul fondo s’innalza la montagna del Purgatorio: conica e segmentata in cornici, ciascuna ospitante un diverso gruppo di anime sottoposto a uno specifico castigo. Sulla cima c’è il giardino dell’Eden con Adamo ed Eva ai lati dell’albero proibito. Il cielo azzurro è solcato da archi, ciascuno segnato da una sfera dorata e da un simbolo astronomico che individua i diversi cieli del Paradiso. Nel margine inferiore corre un’iscrizione, dipinta come se fosse scolpita nella pietra.
Dei molti ritratti antichi di Dante, questo è certamente quello di maggior monumentalità e complessità iconografica. Il distico sul fondo lo dichiara nume della sua patria e lo ricorda autore della Divina Commedia, mentre la corona d’alloro ha il sapore quasi di un risarcimento, perché esaudisce il desiderio confessato da Dante nel suo poema di ritornare un giorno nella patria che l’ha esiliato e ricevere la laurea.
Ma questa lode non fa riferimento solo al suo valore e alla sua fama poetica: nel dipinto Dante è elevato per merito della sua opera somma a teologo ispirato, quasi a un profeta. La luce sprigionata dal suo libro infatti lo assimila, secondo le consuetudini dell’iconografia antica, ai volumi tenuti dai santi dottori o dagli evangelisti, per significare che la Divina Commedia riflette la luce della verità divina e che il suo autore ha composto quei versi ispirato da Dio e dalla Provvidenza per compiere una missione salvifica (come Dante stesso dichiara nel poema). Questo spiega l’espressione triste e il gesto eloquente con cui è effigiato: mostra a Firenze e ai suoi abitanti l’inferno, come se stesse rivolgendo un monito ai concittadini a salvarsi attraverso la lettura delle pagine del suo poema (e al viaggio che ha compiuto). Alla celebrazione del grande poeta si unisce quindi quella per la patria. Secondo alcuni studiosi la chiara somiglianza e la posizione speculare della porta di Firenze con quella dell’Inferno richiamerebbe l’idea di Sant’Agostino della contrapposizione metastorica tra la Civitas Dei (il regno di Dio), e la Civitas Diabuli (il Regno del Male) e sarebbe perciò un’allusione a Firenze come Gerusalemme celeste e nuova Città Santa.