Opera magazine
2018-12-12
Perché devi conoscere il ciclo di formelle del Campanile di Giotto
Un viaggio per scoprire il significato delle formelle che ornavano il campanile di Giotto e che oggi puoi ammirare nel Museo dell'Opera del Duomo.
Al secondo piano del Museo dell'Opera del Duomo, si apre la Galleria del Campanile, così chiamata perché destinata ad accogliere il più completo nucleo di opere del Museo, ovvero quei cicli scultorei realizzati tra la metà del XIV e il quarto decennio del XV secolo da alcuni dei maggiori artisti del loro tempo, per ornamento dei primi tre registri del campanile di Giotto.
Per ragioni conservative del marmo, tutti questi rilievi e sculture sono stati ricoverati nel Museo dell’Opera tra gli anni Trenta e Settanta del Novecento, sostituiti in loco da copie e repliche e quindi, in occasione dell’apertura del nuovo Museo (2015), sono stati sottoposti a restauro. Nel presente allestimento si è prestato attenzione a non alterare l’ordine di lettura delle opere, disponendole per insiemi corrispondenti ai tre diversi livelli e ai quattro lati della torre che ornavano, cui si aggiungono, sul fondo, le sculture del gruppo tre-quattrocentesco (Cristo e due profeti?) un tempo posto a decorazione del timpano della porta d’ingresso al Campanile. Infine, qui trova collocazione un bel Cristo benedicente (A. Pisano?), proveniente da un luogo imprecisato del complesso.
Volgendosi a destra si ammirano torreggiare, su un podio, sedici statue marmoree a grandezza maggiore del naturale raffiguranti Sibille e Profeti; serie avviata nel Trecento da Andrea e Nino Pisano e conclusa nel Quattrocento dai capolavori di Donatello e di Nanni di Bartolo, provenienti dalle nicchie del registro più alto; le statue sono state ordinate in gruppi di quattro, secondo una sequenzialità che inizia da quelle già sul lato occidentale, muove verso quello sud, prosegue l’est e il nord, e che corrisponde alla disposizione loro conferita nel 1463. Il fatto che già nel XV secolo il loro ordine fosse stato alterato, suggerisce che non esistesse un significato intrinseco nella logica del loro succedersi.
Ben diverso è il discorso per i 54 rilievi marmorei allineati nella parete di sinistra e provenienti dai primi due registri della Torre, il cui ordine è stato attentamente mantenuto perché rispondente a un preciso quanto elaborato programma iconografico complessivo: in orizzontale sono organizzati in gruppi di sette secondo una sequenza che va da quelli provenienti dal lato occidentale agli ultimi già su quello Sud. Sulla verticale si dispongono in due teorie sovrapposte, distinte per forma: la serie inferiore è costituita da rilievi marmorei esagonali, raffiguranti i mestieri e le scienze umane; sono tutte opera di Andrea Pisano e collaboratori (1334-1360) eccetto che le ultime cinque, realizzate da Luca della Robbia (1439). I rilievi della sequenza superiore sono invece a losanga, in marmo bianco su un fondo in mattonelle di maiolica azzurra, e raffigurano quelle forze “superiori” che sovrintendono, condizionano e guidano la vita e le opere umane secondo la filosofia e la teologia dell’epoca: Pianeti, Virtù Sacramenti e le cosiddette “Arti liberali”.
Nel loro insieme i rilievi si presentano dunque come una complessa teoria di personaggi, personificazioni e allegorie desunti dalla pagina sacra, dalla letteratura antica greco-romana e dalla descrizione della realtà quotidiana del tempo, e si qualificano come un’enciclopedia per figure dell’intero universo delle attività e delle scienze umane, in relazione al mondo, agli influssi astrali e al Divino. Il tema complessivo è – per usare le parole del Direttore del Museo, Timothy Verdon – “la ricerca dell’umano”, attraverso i frutti del suo ingegno e alla luce delle sue conoscenze. In questa trama iconologica rientrano dunque anche i Profeti e le Sibille, posti in apice perché ispirati direttamente da Dio, ossia entrati in contatto in modo diretto con quella “luce” della Sapienza divina che, più in basso, le scienze e le arti umane ricevono come “di riflesso”, mediata da quelle forze intermedie raffigurate nelle losanghe.
Le fonti che sono state proposte per questo complesso discorso per immagini sono molteplici: dall' Etymologiae di Isidoro di Siviglia, al Li livres du tresor di Brunetto Latini, allo Speculum majus del teologo francese Vincenzo di Bevauis, al Contra falsos ecclesiae professores dell’allievo di San Tommaso d’Aquino, domenicano di Santa Maria Novella, frate Remigio, fino al De reductione artium ad theologiam di San Bonaventura. Intraprendendone una lettura sintetica: nel gruppo già nel lato occidentale si trovano i primi sette esagoni raffiguranti la Creazione dell’Uomo e della Donna, ovvero Dio come “Creatore” che genera a sua immagine l’Uomo “artefice”.
Seguono infatti nelle successive formelle le rappresentazioni dei primi lavori umani attraverso l’esempio dei loro leggendari “inventori” e secondo la cronologia raccontata nella Bibbia: Adamo vanga la terra ed Eva lavora al fuso; Jabal è il primo pastore, Jubal inventa la musica mentre Tubalcain è padre della metallurgia, Noè, ebbro, è iniziatore della viticoltura. Queste attività sono sovrintese dai sette pianeti delle losanghe corrispondenti al di sopra, desunti dall’Almagesto di Tolomeo, si presentano come personificazioni nell’ordine: la Luna regolatrice dei liquidi, Mercurio, Venere dea dell’amore, Marte, dio della guerra, il Sole, Giove, Saturno, dio del Tempo. Le loro personificazioni rimandano a quegli influssi astrali che, secondo il pensiero del tempo, dominano le attività umane pratiche ed intellettuali, come espresso anche da Dante in più punti della Divina Commedia. E questo settore riservato alla “storia” originaria delle attività umane guarderebbe dunque significativamente al Battistero, dove si trovava il grande simbolo cosmico dello zodiaco.
Sul lato meridionale, gli esagoni presentano la seconda fase del processo evolutivo dell’uomo “artifex”, ovvero la nascita dei “mestieri” o “arti”, regolati dalla Morale. In basso allora si trovano l’Astrologia, l’Edilizia, quindi un medico nella sua bottega per significare la Medicina, e un uomo a galoppo su un cavallo nomina la Caccia o l’Equitazione; la Tessitura è esemplata dalla sfida al telaio di Aracne contro la dea Atena, cui conseguono la nascita della Legislazione con Phoroneus, e infine la Meccanica, che permise a Dedalo di far volare il figlio Icaro, qui raffigurato. Tali arti sono dominate concettualmente dalle losanghe superiori raffiguranti le Virtù: prima le “Teologali”, ovvero la Fede, la Carità e la Speranza; quindi le “Cardinali”, cioè Prudenza, la Giustizia la Temperanza e la Fortezza, sostenente uno scudo, la clava e la pelle del leone Nemeo come Ercole. La presenza delle virtù è in accordo al pensiero di san Tommaso d’Aquino, per il quale solo nell’esercizio di esse all’uomo è permesso di concepire buone azioni, che si traducono poi in valide opere.
Un “fare” che è espressione piena dell’esistenza umana e che ne trasforma il vivere terreno, il che spiegherebbe perché questi rilievi fossero un tempo rivolti verso il centro civico della Città: Piazza della Signoria. Nella facciata orientale della Torre gli esagoni, qui in numero di cinque, proseguono l’elenco delle arti umane, ovvero: la Navigazione, la Giustizia sociale, l’Agricoltura, l’arte “Theatrica” e l’Architettura; a queste vanno aggiunte le due formelle spostate a nord nel 1431, raffiguranti la Scultura e la Pittura, attraverso la citazione dei due massimi rappresentanti di queste arti nell’antichità: rispettivamente Fidia e Apelle.
Su questo lato le losanghe superiori raffigurano Personificazioni del “Trivio” e del “Quadrivio”, ovvero di quelle arti “liberali” che nel sistema di insegnamento universitario della scolastica erano propedeutiche alla teologia e alla filosofia: l’Astronomia, la Musica, la Geometria, la Grammatica, Retorica, Logica e l’Aritmetica. Non a caso, dunque, i rilievi di questo lato guardano verso lo Studio Fiorentino: la prima istituzione universitaria cittadina dove tali discipline venivano studiate e insegnate. Infine, sull’ultimo lato, la serie degli esagoni eseguita da Luca della Robbia riflette il clima intellettuale dell’umanesimo fiorentino, e vede raffigurati, per mezzo di figure esemplari dell’antichità romana, alcune importanti attività intellettuali: Prisciano o Donato per la Grammatica, Aristotele e Platone per la Dialettica, Orfeo per la Musica, Euclide e Pitagora per la Geometria e la Matematica, Pitagora per l’Astrologia.
Stanno sopra di loro le raffigurazioni dei Sette Sacramenti, rappresentati attraverso il racconto di scene di vita quotidiana del Trecento in cui essi si vedono amministrati. Questo lato guarda perciò la Cattedrale, cioè al cuore della vita sacramentale del popolo fiorentino. Dall’insieme di questi rilievi traspare un amore per l’umano nella sua interezza, illuminato da Dio in ogni aspetto della propria esistenza: con quanta cura sono stati rappresentati gli strumenti del telaio, le sgorbie dello scultore e l’officina del fabbro.
Possiamo così considerare il ciclo quasi un manifesto della Firenze del tempo, una città al massimo della propria espansione economica, crescente in un coacervo di mercanti, banchieri, artigiani, artisti, intellettuali e uomini di fede, che rileggeva nobilitandolo tutto questo proprio “fare” concreto e ogni traguardo del proprio ingegno alla luce di una fonte superiore divina. È quel pensiero che il cancelliere Coluccio Salutati pochi anni dopo chiamerà “santo negozio”. Quasi a sigillo conclusivo di questo percorso di ricerca del divino nell’umano, si incontra la lunetta eseguita da Andrea Pisano per il timpano di una porta poi rimossa, dove la Madonna col Bambino, nell’iconografia del “solletico”, riporta una visione complementare e conclusiva di un Dio “umanissimo”.